Viaggi a piedi nella Natura

Chi sono

 

 

Guida Ambientale Escursionistica ( L.R. 42 del 2000 e successive modifiche) 
Guida Parco delle Alpi Apuane dal 2006.
Guida Ufficiale delle Riserve Naturali dell'Arno della Provincia di Arezzo dal 2008
Basic Instructor di Nordic Walking 


Guida dell'Associazione laBoscaglia dal 2006 a dicembre 2010.

Guida dell'Associazione Le Vie dei Canti  dal 2011 al 2014.

Guida della Cooperativa Walden Viaggi a piedi  dal 2014 al 2015.

Guida di TREKKILANDIA da gennaio 2016


Sono nato a Torino e vivo da più di venti anni in Toscana.La passione per l'andare in montagna e vivere il più possibile all'aria aperta mi ha spinto sin da bambino, vado in montagna da 41 anni, a svolgere attività e sport come lo scoutismo, l'arrampicata, la speleologia , la bicicletta, il parapendio, lo sci di fondo escursionismo.


Nel 1992 sono stato tra i fondatori del Club di Volo Libero di Firenze. Dal 1995 al 1997 ho collaborato come aiuto istruttore nella scuola di parapendio dell'Aeroclub di Siena.

Il camminareresta comunque l'attività che prediligo che sia un lungo trekking oppure una semplice passeggiata in un bosco. Ho camminato in molte parti d'Italia nei Parchi Nazionali, sulle Alpi…

Nel 2000 e nel 2001 ho percorso la GTA (Grande Traversata delle Alpi) piemontese scoprendo un turismo alternativo altamente ecologico svolto soprattutto da abitanti del Nord Europa.

Dal 2005 con la qualifica diGuida Ambientale Escursionistica ho accompagnato più di 3000 adulti in trekking (Viaggi a piedi nella Natura) da quattro a dieci giorni in numerosi luoghi in tutta la penisola e all'estero: dalle Alpi con il Tour del Monte Bianco e le Valli Piemontesi all'Appennino fino alla Basilicata. 
Numerose anche le gite giornaliere e, nel periodo invernale leescursioni con le ciaspole.


Esperienza
Il lavoro di Guida è il mio  lavoro principale e ritengo che la professionalità non si acquisisce solo con i corsi ma con l'esperienza (una volta si diceva che per iniziare a capirci di un "mestiere" ci vogliono almeno 5 anni).  Ho avuto la fortuna in questi 15 anni di poter lavorare con Associazioni e Tour Operator che sono leader per quanto riguarda i viaggi a piedi e i trekking (Boscaglia, Zeppelin, Tra terra e Cielo, Circolo degli Esploratori). Ho avuto una media di 10 viaggi lunghi effettuati all'anno più le gite giornaliere in cui ho avuto l'occasione di affrontare varie problematiche che accadono nella conduzione dei gruppi.
Affidarsi ad una Guida Professionista e non ad un "volontario" vuol dire spendere una quota di partecipazione al viaggio a volte più alta (ma non sempre) ma vuole anche dire pretendere il massimo della professionalità dall'accompagnatore che significa in primo luogo la sicurezza, attenzione alle esigenze di tutti, cura dei particolari, percorsi sempre belli e nuovi.

Collaboro con operatori qualificati (Tour Operator e Associazioni) per quanto riguarda ilturismo scolastico e l'educazione ambientale.

Se vuoi ricevere il mioCurriculum Vitae richiedimelo via mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

DICONO DI ME:

Cari amici, 
nel diario che porto nel cuore ho potuto scrivere, assieme a voi, pagine ricche di simpatia,  affetto, spontaneità, ingredienti magicamente mescolati ai colori, ai profumi, ai sapori d'un'eccezionale Toscana, ospitale e generosa negli scenari che il territorio offre, come nella cordialità e nell'accoglienza della meravigliosa gente che vi abita e vi lavora. 
Pure, si deve dire, sortilegio del mago Maurizio che, tra gli alambicchi e le formule della sua provata esperienza, nella sapiente scelta dei percorsi, come dei luoghi di sosta e di ristoro, ha saputo cavare un'alchimia i cui effetti restano indelebili. 
Ancora,  quando ci penso, mi sorprendo a sorridere di gioia interiore. 
Vi abbraccio tutti, Benny compreso ovviamente, augurandomi d'incontrarvi presto, ai monti, al mare, in campagna,  in città!
Nicola


Ciao Maurizio,   Volevamo ringraziarti per la bellissima traversata. Il paesaggio bello e incontaminato, con coreografia di Stelle Alpine e Marmotte ci ha entusiasmato. Tu come guida ti sei dimostrato molto preparato e attento. Ti ringraziamo anche per le lezioni di Botanica e Metereologia. Ti salutiamo con la speranza di poter ripetere un'altra traversata altrettanto bella.  CIAO , FRANCA e LIA

 

Grazie per le foto e per la bella giornata nonostante il freddo. Incredibile ma vero lunedì non mi facevano male neanche le gambe! Mi piacerebbe  l’escursione sui Sibillini ma credo di aver lasciato il programma che ci hai dato in macchina (la mia), oggi lo recupero e poi ti faccio sapere. Ciao

                                                                                                                                                                                            Luisa

Ti ringraziamo molto per le belle foto che ci hai mandato.

Appena possibile ti mandiamo le nostre. Comunque ci

siamo divertite tanto quindi...alla prossima!!!

Ciao a presto Chiara e Daniela

 

 

Ciao Maurizio,

Giulio e io ti siamo riconoscenti per l'organizzazione perfetta, per la tua competenza e per il tuo garbo. Grazie di tutto ... e arrivederci

Irene 

 

Grazie per le bellissime foto! A presto Maria Nella

 

Caro Maurizio, Grazie per la tua premura. Sto iniziando a guardare i libri sui Sibillini che ho preso. Mi piacciono molto. Sono contenta della esperienza e spero di tornare presto a camminare in quelle zone (davvero camminare!) e camminare anche con te in uno dei tuoi gruppi. Chissà ... Ti abbraccio, Claudia

 

Belle, bella regione, bella gita, bel clima (non tanto quello meteorologico). Grazie a tutti voi della compagnia e ....Felicità! Stefania

 

buongiorno Maurizio ...viste le foto tue, e presto ti manderò anche le mie, meglio forse se ci riesco vengo a fare un giro e ti porto il dwd, ovviamente segnalando le migliori secondo me...grazie ancora della tua compagnia e a presto, mi farò vivo. Mauro e Teresa

 

Ciao Maurizio, sei stato più veloce e preciso di un altoatesino!!! grazie davvero per tutto saluti e buon lavoro Elda

 

Grazie Maurizio!

Ho già sfruttato gli indirizzi per mandare un po' di foto... Il trekking è stato proprio bello, ho già cominciato a fare pubblicità alla Boscaglia! 

La tua bimba come sta? La mia caviglia è quasi guarita...;-)

un abbraccio,

Giulia

 

ciao a tutti, ho un ricordo bellissimo del tempo passato insieme e del cammino fatto sempre di più penso che il modo migliore per conoscere un luogo sia percorrerlo a piedi in buona compagnia. un abbraccio Gabriella

 

 

Lassù nella valle solitaria

 

Da Macra a Preit lungo il Sentiero Occitano (2007)

 

 

Le persone non fanno i viaggi,  

sono i viaggi che fanno le persone

John Steinbeck

 

 

“Non ora, non è ancora tempo: sono troppo lontano per pensarci!”. A metà agosto il viaggio in Val Maira era questo per me. Da qualche giorno ero tornato dalla Corsica ed avevo ancora negli occhi le foreste, i fiumi e le montagne attraversate seguendo la GrandeRandonnèe. Non era facile staccarsi da quei ricordi, da quella realtà così piacevolmente ingombrante. Ed era ancora così vivo il ricordo dei compagni d’avventura, le loro facce, le espressioni, le inflessioni dialettali, il loro modo di ridere, di camminare: a fatica riuscivo a pensare al fatto di dover rimettere tutto nello zaino e ripartire, ricominciare. Durante un viaggio non ci si affeziona solo ai luoghi, ma anche e soprattutto alle persone che s’incontrano e che diventano una famiglia: il dipinto a cui i paesaggi fanno da cornice. Non era facile leggere i messaggi di Giovanna o correggere il racconto di viaggio scritto fino al giorno prima e pensare che, da qui a breve, mi sarei ritrovato in quella folla di sconosciuti che avvolge tutti gli addii. 

Un paio di giorni prima della partenza mi sorprende una telefonata mentre mi concedo il lusso di un riposino pomeridiano: “pronto, ciao, mi conosci?”. Ancora mezzo addormentato mi pare di riconoscere la voce di mia cugina di Roma, rinomata in famiglia per il fatto di scegliere sempre gli orari più inopportuni per telefonare. “Ecco, figuriamoci se uno può farsi un pisolino in santa pace – penso tra me e me - dovevo staccare il telefono!”.  “Oh, allora mi conosci? – insiste la voce dall’altra parte - . Io esco dal torpore: “sì, sì certo che ti conosco!” – ed intanto penso di sbattere giù il telefono. “Ah sì, ma sei sicuro – replica – e chi sono?”. A questo punto mi sorge un vago sospetto: “vuoi vedere che non è mia cugina?”. Dopo un paio di battute l’equivoco si risolve e la voce si qualifica con il nome di Cinzia, futura compagna di viaggio. “Ma che stavi dormendo – dice Cinzia – e dai dillo, che male c’è!”. Dopo un disperato tentativo di diniego crollo ammettendo la colpa. Cinzia vuole sapere come raggiungerò la Val Maira. Spiegarle tutta la storia della Corsica è troppo lunga e quindi prendo semplicemente tempo dicendole: “beh guarda, non lo so ancora: sto aspettando di sapere qualcosa da Teresa (altra iscritta al trekking)”.

Il giorno successivo Teresa mi comunica che non potrà venire con noi e quindi decido di contattare Diego, di Mantova, che sicuramente parteciperà al viaggio. Questi mi dice che raggiungerà in auto il luogo di ritrovo insieme ad un suo amico e che volendo potrebbe passare da Piacenza per tirare su anche me e Cinzia. È la soluzione migliore. In breve ci mettiamo d’accordo tutti e quattro e ci diamo appuntamento per il giorno dopo.

In un pomeriggio caldo d’agosto mi trovo quindi a Piacenza in attesa di incontrare i miei nuovi amici. Sul piazzale antistante alla stazione all’improvviso una voce squillante e con inflessione dialettale vagamente romana mi coglie alle spalle: “tu devi essere Luigi!”. Mi volto e vedo una ragazza paffutella in bermuda, con uno zaino in spalla, i capelli corti ed una faccia sorridente. “Già, e tu devi essere Cinzia!” le rispondo. Dopo qualche minuto arrivano anche Stefano e Diego ed appaiono subito due persone molto cordiali. In circa tre ore attraversiamo la pianura Padana da est verso ovest fino alle porte di Cuneo, poi verso Dronero ed infine raggiungiamo Macra. Il cielo è parzialmente nuvoloso ed il pensiero corre subito all’ipotesi che partire il giorno dopo con la pioggia sarebbe proprio un bel guaio. Parcheggiamo l’auto nell’unica piazza del paese e subito vediamo un capannello di persone sotto un porticato. Appena scesi ci vengono incontro un ragazzo in tenuta sportiva, alto, dall’aspetto un po’ burbero e guascone ed un signora molto gioviale: sono Maurizio, la nostra guida, e Bruna, la locandiera del nostro primo posto tappa, che per l’occasione indossa una maglietta regalatale dalla Boscaglia. Ci salutano e ci presentano gli altri compagni di viaggio, dei quali un attimo dopo abbiamo già dimenticato i nomi. Chiedo a Stefano e Diego: “Ehi, ragazzi, vi andrebbe una birra? Dai vediamo se ci riesce di trovarne una!”. I due sono d’accordo. Allora chiamo un ragazzino che gioca lì in piazza e gli chiedo: “scusa, dov’è un bar?”. Questi mi guarda e sorride come credendo che gli stessi facendo uno scherzo. Io insisto: “il bar, dov’è?”. A questo punto il ragazzino risponde: “il bar? Ma qua non c’è! Bisogna andare nell’altro paese, giù verso Dronero”. Io guardo Stefano e dico: “come sarebbe a dire? In questo posto non c’è nemmeno un bar? Ma dove siamo capitati?”. Stefano e Diego se la ridono.

Maurizio ci mostra i nostri alloggi e nel frattempo arrivano anche gli altri compagni di viaggio che sono giunti fin qui con i mezzi pubblici.

A sera ci riuniamo tutti a tavola e cominciamo a conoscerci. Con noi in questa occasione c’è anche Franchino, alpinista e vecchio amante di questa valle, amico di Cinzia. La tavola è imbandita di varie pietanze e non manca di certo il vino. Bruna ci fa sentire un po’ a casa nostra con il suo atteggiamento molto familiare: si vede che quel che fa lo fa con passione. Comincia a parlarci di questa Val Maira, della sua storia. Io ammetto di non averne mai sentito parlare. Bruna cita con orgoglio il servizio che I Viaggi di Repubblica ha dedicato a questi posti un paio d’anni fa. Nel frattempo si presenta anche il padre di Bruna, vecchio partigiano della resistenza e vero protagonista del servizio del settimanale. Jack, nome di battaglia di Giacomo, ci racconta ora con toni infervorati, ora con una commozione appena trattenuta, cos’è stata secondo lui la guerra, cos’è stata la brigata Giustizia e Libertà: nella sua mente quegli episodi sono ancora dietro l’angolo, vividi, indelebili. Io sono incredibilmente curioso e continuo a fargli moltissime domande. Jack mi risponde con piacere, ed anzi sembra quasi che dia sfogo ad una voglia trattenuta per anni di raccontare e rivivere quell’esperienza. Spesso accompagna le sue parole anche con gesti e versi gutturali, per farci vedere ed ascoltare anche le immagini e i rumori della guerra. Quando prese le armi ed andò in montagna Jack aveva appena sedici anni: per lui la guerra probabilmente fu soprattutto un’avventura.

Quando Jack si congeda torniamo a parlare tra di noi. Maurizio ci chiede se abbiamo partecipato ad altri viaggi con Boscaglia. Io rispondo che sono stato nell’alto Lazio, a Bomarzo. Anch’egli c’è stato. Io aggiungo che ci sono stato con un’altra guida e Maurizio dice che da quest’anno quel giro lo fa lui dato che l’altro s’era rotto “i marroni” di fare sempre gli stessi trek. Al che gli chiedo: “ma scusa, come fate, ci sono dei sopralluoghi, o vi passate le informazioni?”. E lui: “guarda, ho chiesto al collega Alessandro delle dritte, e lui mi ha suggerito di leggere un racconto pubblicato sul sito della Boscaglia: sicché l’ho letto, era fatto proprio bene, bello, dettagliato….!”. Io non lo lascio finire: “ma guarda che sul sito c’è il mio racconto….!”. Al che Maurizio quasi urlando: “ma allora, tu sei Yanez?”. I compagni al tavolo assistono al dialogo e all’ultima battuta di Maurizio mi guardano come se fossi un personaggio noto. Per un momento mi sento come quegli scrittori famosi ai quali si chiede con timore e riverenza l’autografo. Da questo momento in poi tutto il gruppo mi chiamerà Yanez.

Tra di noi ci sono persone che vengono da tutta l’Italia: Alessandro è di Firenze; Valerio di Roma, così come Fabrizio ed Anastasia; Mariangela di Vigevano. Stella e Silvana abitano non molto distante da questa vallata. Il viaggio più lungo per arrivare fin qui l’ha fatto Vittorio, provenendo da Cosenza. Daniele invece è di un paesello sperduto vicino a Saronno ed è giunto fin qui in moto.

A tavola ci si dà del “tu”, ma c’è un profluvio di buone maniere imbarazzate: “scusa, mi passeresti gentilmente del pane, se non ti disturba?” - dice Valerio - “ma ci mancherebbe, gradisci quello affettato o un pezzo intero?” – risponde Alessandro - “perdonate, c’è ancora del vino?” – interrompe Daniele - “oh, certamente, ne è rimasto ancora un goccio!” – replica Diego - “no guarda, allora prendilo pure tu, io ne ho avuto già abbastanza!” – “ma ci mancherebbe, insisto!”. Insomma è un minuetto, a tratti veramente ridicolo, dettato dalla mancanza di confidenza tra di noi. Basteranno pochi intensissimi giorni per trasformare il gruppo, soprattutto nella sua componente maschile, in una banda di goliardi “impuniti”, dediti ad ogni genere di frizzo e lazzo! Basti un esempio per tutti: su un pianoro, dopo una sosta, Maurizio dirà: “andate a chiamare Cinzia che si è addormentata” – “ma che andate a chiamare – risponde qualcuno - tiratele una pietra che si sveglia uguale!”.

Dopo cena, storditi dal viaggio, dall’abbondante vino di Bruna e dalle conversazioni con Jack e Franchino ci ritiriamo nelle nostre camere.

Il mattino seguente, dopo colazione, scendiamo in auto fino alla piccola chiesa parrocchiale di San Salvatore, la più antica della vallata, costruita interamente in pietra. Dopo una breve visita torniamo da Bruna per congedarci e cominciare il nostro trekking. Jack è al balcone ed assiste alla partenza. Mi volto per l’ultima volta e gli dico: “Ehi Jack, qualche volta vengo a trovarti, così scriviamo insieme un libro sulla resistenza!”. Jack si illumina d’immenso: “d’accordo, io sono qui!”.

Siamo tutti pronti, zaino in spalla, quando Maurizio, dice: “prima di partire, ci mettiamo tutti in cerchio, ed ognuno di noi dirà il proprio nome e una caratteristica del proprio carattere all’orecchio del compagno che si trova alla sua destra. Fatto ciò ognuno di voi presenterà il compagno che si trova alla propria sinistra”. Ci mettiamo un po’ a comprendere il meccanismo del gioco, ma alla fine ne viene fuori una presentazione simpatica e coinvolgente: insomma una delle classiche trovate che rientrano nel bagaglio tecnico-tattico di ogni buona guida di Boscaglia.

Salutata anche Bruna ci incamminiamo lungo il sentiero dei “ciclamini” fino a che non raggiungiamo la cappella duecentesca di San Pietro: la cosa che più ci colpisce è l’affresco della danza macabra che copre tutto il perimetro inferiore delle pareti e che raffigura un girotondo grottesco in cui si alternano un vivo e un morto, per ricordare l’incertezza dell’ora della morte e l’uguaglianza degli uomini di fronte ad essa.

Terminate le visite culturali torniamo sul percorso occitano e cominciamo il vero trekking. Dopo neanche un’ora di marcia apprendiamo che, in fondo al gruppo, Anastasia è stata male, ha avuto nausea e giramenti di testa. Fabrizio, il fidanzato, le sta accanto ed è vistosamente preoccupato. Maurizio le dà qualche consiglio pratico, ma non può più di tanto: non è mica un medico di E.R. Il resto del gruppo assiste alla scena poco distante dai tre. Ad un certo punto Fabrizio ed Anastasia tornano indietro. Maurizio ci raggiunge e ci comunica che i due scendono da Bruna e poi in auto raggiungeranno Ruata Valle, il luogo in cui ci fermeremo questa notte. La marcia ricomincia e prosegue fino ad ora di pranzo attraverso un paesaggio molto verde, ora tra i boschi ora su dorsi e crinali di montagna. La sosta avviene presso il borgo di Caudano. Qui ci accolgono gli abitanti del posto: una vecchina di circa novant’anni e i suoi due figli. Ci prendono subito per stranieri, tedeschi. Da queste parti italiani con lo zaino in spalla non se ne vedono mai. Tra di loro parlano una strana lingua, simile al francese: l’occitano. Con noi si esprimono in un italiano a tratti approssimativo: ma hanno una gran voglia di parlare! La prima impressione che ho è che queste persone stiano qui per i turisti, pagate dalla Pro Loco. Non riesco ad immaginare cosa possa voler dire vivere in un paese disabitato, abbandonato da tutti i suoi abitanti. I tre sembrano superstiti di un cataclisma avvenuto in un’epoca lontana, dimenticata. Ed effettivamente quello che è capitato a questo paese è un po’ una tragedia. Parlando con uno dei figli della vecchina apprendiamo che fino agli inizi degli anni sessanta, in questo luogo, vivevano un migliaio di persone. C’era una scuola, le persone vivevano di allevamento ed in misura minore di agricoltura. Poi tutto d’un tratto, con l’avvento del cosiddetto boom economico, gli uomini hanno cominciato a lasciare la valle per trasferirsi in pianura, attratti dal lavoro in fabbrica: diverso, meno faticoso e più sicuro. Si lasciavano alle spalle una realtà fatta di sacrifici e di un’economia di sussistenza. In città, con il lavoro operaio, si ritagliavano un’esistenza meno grama ed un futuro fatto di speranze. A mano a mano che si sistemavano chiamavano a loro mogli e figli e solo gli anziani restavano in queste valli, legati a queste montagne ed incapaci di adattarsi ad un contesto che non fosse quello in cui avevano vissuto per tutta la vita. Con il passare degli anni poi i vecchi morivano e il paese cominciava a spopolarsi. A Caudano oggi, mentre consumiamo il nostro pasto frugale, assistiamo all’ultima scena della storia, una storia che in gran parte è comune a tutta la Val Maira.

Nel pomeriggio raggiungiamo la locanda Codirosso. Qui ci attendono da un po’ Fabrizio ed Anastasia. Quest’ultima ha un volto visibilmente patito. Maurizio ci invita subito a lasciare gli zaini e ad andare a vedere Morinesio, un piccolo paesino poco distante da qui, molto caratteristico. Una parte del gruppo lo segue senza indugiare; altri decidono di restarsene comodamente seduti sulle panche del giardino. Diego mi dice: “guarda, per me, quando uno si toglie lo zaino, basta: il trek è finito!”. Io sposo completamente la sua profonda filosofia. Con noi restano anche Stefano, Alessandro e Silvana. Per consolarci della mancata visita al paesino, ci facciamo portare dalla ragazza bionda che gestisce l’agriturismo un grosso tagliere di salumi e formaggi. Stefano propone anche un bicchiere di vino rosso e nessuno gli si oppone, anzi!

Prima di cena ci troviamo tutti all’aperto per un breve aperitivo. L’argomento di conversazione che più ci appassiona è la condizione sociale dei nostri tempi. Valerio ed io sosteniamo che in fondo, a differenza che nel passato, è la spesa per la casa che è divenuta insostenibile. Altri, al contrario, ritingono che, facendo i dovuti sacrifici, si riesce benissimo ad affrontare la spesa. Tra questi c’è Fabrizio che si rivela un oratore preciso, incisivo e molto determinato: la sua espressione più ricorrente è “tra il rusco e il brusco”, ed in alcuni frangenti ricorda vagamente Furio, uno dei tre protagonisti di “Bianco, Rosso e Verdone”.

La cena non è niente male ed il vino di tutto rispetto. Prima di alzarci da tavola ci facciamo servire un liquorino: io adocchio su una mensola una bottiglia di “centerbe” e lo consiglio ad Alessandro e Valerio. Daniele chiede alla bionda: “avete in casa una grappa morbida?”. Noi ridiamo sfacciatamente, segno evidente di un progressivo allentamento delle remore da scarsa conoscenza reciproca. Il “centerbe” è una schifezza oscena che sa di “Idraulico Liquido” ed Alessandro a momenti me lo tira dietro quando si accorge che su un’altra mensola troneggia una meravigliosa grappa di Barolo.

Nel frattempo anche Diego, per niente convinto del “centerbe”, si lascia sfuggire di mano una bottiglia di miele scambiata forse per whisky! Per un attimo serpeggia il panico intorno alla tavolata: qualcuno pensa di fuggire in camera, qualcun altro suggerisce di non dire niente alla bionda. L’unico è Alessandro a restare imperturbabile con gli occhi fissi alla grappa sulla mensola.

La sistemazione per la notte prevede due camerate: una per gli uomini (fornita di materassi buttati per terra) e l’altra per le donne. Solo Diego avendo vinto un tremendo sorteggione potrà occupare tutto solo una stanza singola, con letto matrimoniale!

Mentre ci prepariamo per la notte io e Valerio avvertiamo improvviso un odore agghiacciante di sfiato intestinale e manifestiamo il nostro disappunto. Daniele se ne assume la colpa senza negare: “eh scusate ragazzi, credevo che non si sentisse!”. “Ammazza – dice Valerio – ma questo è il vento della morte! No dico piuttosto a Daniè, fai un rapido check che non te sia rimasto gnente nelle mutande! Mi raccomando stanotte, chiuditi bene nel sacco a pelo, sigillati! Mica ce voi fa morì!”. Sto quasi per addormentarmi quando arriva ancora una ventata: per un istante non riesco a respirare, poi scoppio a ridere e corro a prendere il Ventolin nello zaino. Solo così riesco a superare la crisi. Questa volta Daniele nega la sua responsabilità, mentre nell’oscurità si ode una risatina soffocata. L’ultimo rumore che ricordo prima di cadere nelle braccia di Orfeo è il sibilo di un canotto che si gonfia: è Stefano che russa!

Al mattino ci svegliano i raggi del sole che filtrano da una finestra aperta nel tetto. Valerio ed io ragioniamo dei nostri compagni di viaggio e ci convinciamo dell’idea che Boscaglia dovrebbe aggiungere, oltre alle orme intese come grado di difficoltà, anche un altro parametro che designi l’aspetto “quali – quantitativo” della componente femminile di ogni gruppo. Per esempio: trekking “Sentiero Occitano due orme – tre tette”; oppure se butta male: “quattro orme – una tetta”. Così, tanto per fornire un’ulteriore strumento valutativo. Maurizio, che ha ascoltato tutto il ragionamento, non pare contrario all’idea.

Dopo colazione Fabrizio ed Anastasia ci rivelano che anche oggi non saranno dei nostri. Si fermeranno ancora una notte a Codirosso e forse ci raggiungeranno domani.

Lasciata Ruata Valle, il primo luogo che raggiungiamo sono le grotte di Stroppo. Dopo una breve discesa in una selva intricata, ci troviamo alla base di una parete rocciosa a metà della quale si presenta una grossa apertura. Con qualche difficoltà la raggiungiamo ed entriamo in una grotta piuttosto ampia, detta Balma del Diavolo, che presenta una selva di stalattiti e stalagmiti. Dopo un primo momento di ambientamento all’oscurità, ognuno prende a gironzolare qua e là. Prima di uscire Maurizio ci chiama a raccolta e ci invita ad un nuovo momento di aggregazione. Questa volta ci prenderemo tutti per mano intorno ad una stalagmite ed intoneremo un profondo Ohm tibetano. Sono apparentemente tutti interessati a questo nuovo “gioco”, ma sia io sia Valerio, forse inconsciamente, riusciamo a mandarne a monte la buona riuscita: prima io prolungando eccessivamente l’Ohm, poi Valerio strascicando romanamente l’ultima lettera del verso: “Ooohmmmeeeee!”. Maurizio fa finta di arrabbiarsi, ma in fondo è il primo a ritenere una fregnaccia sta pratica.

Scesi dalle grotte ci dirigiamo verso il fondo valle. Mentre attraversiamo il bosco Daniele si innamora di un ramo di una pianta di nocciolo e a furia di strattoni e calci riesce a sradicarlo. Vuole farne un bastone da passeggio. Noi altri assistiamo alle operazioni e qualcuno gli dice: “ma sei proprio un vandalo!”. Ma egli replica: “ma che vandalo, la pianta così si rinforza!”. Maurizio non prende parte alla diatriba. Finalmente possiamo ripartire: Daniele è soddisfatto e finalmente ha il suo bastone, un vero e proprio bastone pastorale. In effetti, più guardiamo il nostro compagno e più ci accorgiamo che il suo aspetto ha qualcosa di mistico, ieratico. Barba folta lunga e nera, capelli dello stesso colore e ben oltre le spalle, volto scavato, sguardo intenso e profondo: Daniele se proprio non vogliamo accostarlo all’iconografia classica del Messia per non essere blasfemi, sicuramente può essere accostato ad un predicatore. Da questo momento in poi Daniele per tutto il gruppo sarà il “Profeta”.

Dopo un breve bagno in un ruscello arriviamo all’agriturismo di frau Maria Schneider, presso la Borgata S. Martino. Il luogo è incantevole, circondato da vette che fanno da corona all’orizzonte. La nostra camerata, situata in una palazzina a due piani, è fornita di un’ampia terrazza in legno grezzo che si presenta come una platea di fronte ad una scena di monti. Siamo tutti senza parole.

Per occupare il pomeriggio, Maurizio propone di fare ancora un’escursione fino a Paschero. Valerio, il vero atleta della comitiva, è subito pronto. Il resto del gruppo non intende schiodarsi dalla terrazza. Alla fine anche la nostra guida non se la sente di fare altra fatica e quindi Valerio se ne va da solo.

Diego e Stefano mi propongono di andare a cercare qualcosa da mangiare, e soprattutto da bere, dalle parti della cucina. Frau Schneider è occupata, ma ai fornelli, intenta a preparare le cena di questa sera, troviamo una signora di mezz’età. Diego, molto educatamente, le chiede se possiamo consumare uno spuntino. La signora dice che senza il placet della padrona tedesca non si muove foglia. Noi insistiamo ed alla fine riusciamo a convincerla ad andare a chiedere il permesso. Ritorna dopo un po’ con un meraviglioso sorriso e ci dice che è riuscita a spuntare, per il nostro feroce appetito, un po’ di pane e formaggio. Stefano, ardito più che mai, ottiene anche un litro di Dolcetto d’Alba, il primo di una lunga serie nel corso del pomeriggio. Dopo un paio d’ore trascorse tra bevute e conversazioni sempre più alcoliche, decidiamo che è giunto il momento di tornare dai nostri compagni. Stiamo per pagare il conto ed andarcene quando Alessandro ed il Profeta ci raggiungono. “Ottima idea codesta – dice Alessandro - ci si fa un goccetto tutti insieme!”. “Veramente – dico io – stavamo andando via, è tutto il pomeriggio che beviamo!”. “Macchè via – replica il Profeta – non se ne parla neanche. Signora un altro litro di rosso!”. Quando il sole comincia a tramontare abbandono quasi senza salutare la compagnia ed a fatica imbocco la porta d’uscita del salone. Barcollando e filosofeggiando con i due spinoni di frau Schneider, riesco a raggiungere la camerata, mi infilo nel sacco a pelo e mi addormento di sasso!  

Ad ora di cena Valerio ed Alessandro mi svegliano delicatamente: se la ridono di gusto osservandomi beato e sorridente nel mio rossore da avvinazzato. Quando mi levo dal letto avverto un profondo torpore, ma sono anche molto rilassato: mi sento in pace con il mondo e con me stesso. La cena è molto gustosa ed il piatto forte della casa è il coniglio al Barolo. Prima di andare a dormire, Diego, amante delle tradizioni e dei balli locali, ci insegna qualche passo di danza occitana, suscitando l’ammirazione di tutti.

Al mattino, dopo un’abbondante colazione all’aperto e nel panorama dei monti che prendono lentamente luce, ci incamminiamo lungo il percorso che ci porterà fino ad Elva.

Anche questa tappa non è molto lunga e ad ora di pranzo giungiamo alla “Frema Cucunà” (femmina accovacciata), una piattaforma di granito che si sporge su un precipizio panoramico davvero inquietante. Dopo una breve pausa raggiungiamo l’abitato di Elva. Il tempo è peggiorato nelle ultime ore e comincia a far freddo. Maurizio ci conduce alla locanda occitana presso la quale dormiremo questa notte. Sebbene durante la marcia abbiamo già fatto una sosta spuntino, qualcuno di noi gradirebbe un rinforzino. Diego ed altri si avviciniamo alla padrona della locanda e le chiedono se si può mangiare qualcosa. “Qui non si fanno spuntini – risponde – non c’è nulla da mangiare!”. Noi ci guardiamo interdetti, anche perchè ai tavoli del ristorante ci sono altri clienti. Diego rilancia: “va bene, almeno si può avere una birra, magari con delle patatine?”. La padrona annuisce con un movimento appena accennato del capo. Subito dopo di noi entra una coppia sulla cinquantina, probabilmente marito e moglie. Lui rivolgendosi alla padrona chiede gentilmente: “buongiorno, si può pranzare?”. “La cucina è chiusa” risponde l’arpia. “Ma scusi – risponde l’uomo – sono appena le 13.00! A che ora apre il ristorante?”. “Le ho detto che siamo chiusi: qui o si prenota prima o non si mangia. Ho già troppo persone questa sera a cena!”. I due stanno per allontanarsi quando vengono chiamati da un’altra coppia seduta ad un tavolo. Sono dei loro conoscenti. A questo punto l’uomo torna alla carica: “senta signora, non si potrebbe avere magari, che ne so, anche solo del pane con del salame, così tanto per stare un po’ in compagnia di quei nostri amici? Sarebbe molto carino!”. “Le ho detto che stasera ho gente a cena, non ho pane!”. Ed ancora l’uomo: “senta non vorrei insistere….”. “Lei sta diventando veramente insistente”, chiude la padrona, senza possibilità di dialogo.

I due sconsolati prima di uscire chiedono: “senta, per pietà, non sa indicarci dove si può mangiare qualcosa?”. L’arpia ci pensa un po’ e poi risponde: “ma in su o in giù!”. I due escono senza neanche salutare.

Nel primo pomeriggio visitiamo la chiesa di San Pancrazio ornata con i bellissimi affreschi settecenteschi di Hans Clemer. All’interno di una navata laterale vi è allestita una mostra fotografica degli alpini nella seconda guerra mondiale. Ci sono lettere e fotografie di singoli e di gruppi. I soggetti ritratti sono quasi tutti ragazzi poco più che ventenni. Leggo alcune delle lettere: parlano della Russia, del gelo, dell’incontro con il nemico. Ma non sono mai drammatiche: raccontano la guerra come un gioco, quasi una scampagnata. In quasi ogni lettera si legge “sto bene in salute”, “non fa poi così freddo”, “stiamo discretamente bene”. Certo da un lato la censura non avrebbe permesso che arrivassero lettere che potessero incrinare la fiducia “nell’ora segnata dal destino”; dall’altra parte credo che fosse quasi scontato per i soldati al fronte non allarmare i propri familiari. Ricordo una conversazione che ebbi qualche tempo fa a Lussino con un croato che aveva fatto la guerra contro i serbi nei primi anni ’90: alla mia domanda su cosa dicesse ai suoi cari quando era al fronte, questi mi rispondeva: “cosa vuoi che gli dicessi? Ripetevo che non credessero alle notizie che ascoltavano in televisione. Dicevo sempre che andava tutto bene e che non c’era pericolo”. Anche questi alpini ragionavano alla stessa maniera: avevano lasciato a casa genitori, giovani spose, figli e non intendevano gettarli nell’angoscia. Prima di uscire avvicino i miei occhi miopi ad una foto di gruppo e mi soffermo sui volti di ognuno dei soggetti ritratti: voglio cercare di intuire dai tratti somatici, dallo sguardo, chi di loro è tornato a casa. Voglio dare, in altre parole, una spiegazione razionale alla morte: di uno con lo sguardo vispo penso: “questo doveva essere uno in gamba, sicuramente se l’è cavata”; di un altro dall’aspetto trasognato: “questo qua non mi sembra granché sveglio, probabilmente non ce l’ha fatta”. Per un momento mi chiedo: “ed io, sarei tornato io?”. Non so rispondermi.

Subito dopo la visita alla chiesa andiamo al Museo dei Capelli. Ad Elva per decenni tutti gli abitanti facevano i “pelassiers”, lavoravano i capelli per farne parrucche. C’era chi li vendeva e chi li comprava. Quanto più una bimba aveva una chioma lunga e dritta, tanto più c’era la possibilità per la famiglia di racimolare qualche quattrino. In questo museo ci sono raccolti attrezzi del mestiere, spazzole, tessitoi, abiti d’epoca. Nella sala al piano superiore c’è una sala di proiezione. Ci sediamo ed assistiamo ad un cortometraggio che ci spiega la singolare storia di questo paese. Dopo qualche minuto dall’inizio della proiezione, forse per la stanchezza, forse per il freddo, vengo assalito da un sonno maledetto. Non riesco a tenere gli occhi aperti, barcollo! Altri sono nelle mie stesse condizioni. Quando si riaccendono le luci mi risveglio urlando: “bellissimo, non si può rivedere un’altra volta!”.

Prima di cena Alessandro, Valerio ed io facciamo un giro alla ricerca di un bar, una trattoria, uno spaccio, ma non troviamo niente. Qui, a parte il locale in cui siamo alloggiati, non c’è praticamente niente. Proviamo a risalire la strada verso Gorio, ma non troviamo traccia di civiltà, a parte un contadino su di un trattore: “un bar ? – dice – eh ce n’è da camminare! Ma a quest’ora è chiuso!”.  Su di un tornante che guarda verso Elva ci fermiamo avvolti nella nebbia che lentamente ricopre tutta la vallata. Questo tempo ci ha messo addosso malinconia.

La cena preparataci dall’arpia non è male. L’unico appunto che le si può muovere è il tentativo maldestro di spacciare della pasta all’uovo per della pasta semplice, cercando di turlupinare Stella, la nostra compagna di viaggio veghiana.

Quando andiamo a dormire piove insistentemente e fa ormai davvero freddo: sembra di essere in autunno.

Al mattino ci svegliamo che piove ancora. Non è piacevole l’idea di marciare sotto la pioggia. Qualcuno comincia a ventilare l’ipotesi che si possa prendere lo Sherpa Bus, mezzo di trasporto che collega tutta la valle, e raggiungere comodamente e all’asciutto la meta di tappa. Dopo colazione ci copriamo come possiamo e ci incamminiamo, mentre il cielo decide di graziarci. Lasciando Elva ci accorgiamo che la corona di monti durante la notte si è imbiancata.

Fabrizio ed Anastasia avvisano Maurizio che neanche stasera ci raggiungeranno: qualcuno parla ormai apertamente di pantomima.

Quasi subito ci imbattiamo in un altro paesino fantasma. Sul balcone di una casa a due piani c’è una vecchina con un foulard che le ricopre il capo e le spalle. Chiedendole se pioverà trovo la scusa buona per scambiare due parole. Ascoltiamo ancora la stessa storia di emigrazione e di “sopravvissuti”. Alessandro accanto a me è quasi rapito da questa figura: chissà se le ricorda qualche persona cara?

La tappa si svolge su un terreno zuppo e tutto intorno a noi una spessa umidità forma goccioline sul nostro incedere affaticato. A S. Michele sostiamo presso un bar gestito da due bellissime ragazze e Valerio, alla loro vista, riflette sull’ipotesi di metter su famiglia da queste parti.  Abbiamo bisogno di riposarci e riscaldarci. Poco prima di entrare in paese, da un paio di agriturismo sulla strada, ci danno voce alcune persone: “ehi, scusate, siete quelli del trekking? Qui c’è posto! Fermatevi da noi!”. Certo una comitiva così numerosa è ambita tra questi luoghi sperduti. Qualcuno del gruppo, incuriosito, si attarda. Maurizio preoccupato quasi urla: “oh, che l’è, andiamo via, non rispondete. I che vole sta gente! Uhn vi fermate, bischeri!”. Sembra quasi Euriloco che sconsiglia Ulisse dall’ascoltare le sirene. A Prazzo facciamo una sosta per acquistare qualche genere alimentare. Valerio ed io acquistiamo due salami di cinghiale che il giorno dopo divideremo con il gruppo. Finalmente, dopo due giorni di assenza, il cellulare ricomincia a trovare il segnale.

Nel tardo pomeriggio raggiungiamo il posto tappa la Carlina di Ussolo.

L’alloggio maschile si trova in una palazzina sulla strada, a poca distanza dalla locanda. Una camerata con letti a castello sarà il nostro ricovero per questa notte. Quando siamo tutti dentro quasi non si respira. Le ragazze dormiranno in una specie di grotta senza bagno in camera e saranno costrette ad utilizzare quello del ristorante.

            Prima di cena Maurizio convoca un primo briefing per ascoltare le opinioni maturate fino ad ora sul trekking. C’è chi si dichiara entusiasta, chi dice di non essere particolarmente contento dei paesaggi, chi pone in rilievo un certo scollamento tra la componente maschile e femminile del gruppo. Io al solito faccio un po’ di cabaret e mi becco all’istante un rimbrotto, giusto, da Cinzia. Poi dichiaro la mia sorpresa nel constatare che in questi posti tappa non c’è neanche uno svago, neppure un bar: va bene faticare e scaricare tensione su per i monti, ma poi a sera, sarebbe anche bello vedere un po’ di movimento, della gente per strada. Ma di certo questo non lo si può pretendere in paesi abitati da cinque - dieci  persone, quando va bene. Maurizio, tra il serio e il faceto, dice che questo è lo spirito di Boscaglia. Io non insisto, anche perché c’è servita la cena. Maurizio dice a chi ancora deve esprimersi: “cerchiamo di stringere che si fredda tutto”. Cinzia lo riprende: “eh che, anche se tardiamo dieci minuti non succede mica niente, aspettiamo un attimo”. La guida incassa il colpo e risponde occhi bassi: “si effettivamente!”. Io, che sono al suo fianco, gli sussurro: “mi sa che hai detto una stronzata!”. Maurizio trattiene malamente una risata. 

            Quando la riunione finisce e ci leviamo per andare a tavola si sentono in strada dei suoni di campanacci: ci affacciamo alle finestre e vediamo transitare per il centro del paese una mandria di vacche di ritorno dal pascolo.

            Il quinto giorno di trekking prevede una lunga tappa di sei ore fino a Serreto. La situazione meteorologica è decisamente migliorata ed anche i panorami appaiono più interessanti. Su di un pratone ci fermiamo per la pausa pranzo. Prima di ripartire Maurizio dice: “adesso facciamo tutti insieme un gioco! Nessuno di voi ha dei foulard, delle bandana?”. Io capisco subito, perché l’ho già visto fare altre volte, che si tratta del gioco del bendato e dell’accompagnatore e lo dichiaro subito. Maurizio cerca di farmi tacere, ma io, in maniera irriverente continuo: “ma dai, cambiate gioco ogni tanto: queste guide della Boscaglia ne conoscono due, al massimo tre! E che diavolo”. Tutti sono divertiti. Anche Maurizio ride ed aggiunge: “ecco, allora vai da quelli di Panda Trek!”. Il gioco consiste nel portare in giro un compagno bendato su per il sentiero, guidarlo, proteggerlo e prendersi cura di lui: in questo modo si cerca di far nascere fiducia e contatto tra le persone. Poi i ruoli si invertono, ma senza che si sappia chi accompagna chi. Il più impacciato di tutti è Stefano che si muove a tentoni, come un novantenne affetto da una qualche sindrome degenerativa celebrale. Alessandro poi, per completare il quadro già fortemente ridicolo, fa di tutto per portare il poveretto sopra ad ogni deiezione di vacca! E ad ogni centro esulta come ad un gol della “Viola”. La strepitosa performance di Stefano gli varrà, da ora in poi, il soprannome di Alzheimer.

Finito il gioco è il momento di dichiarare le proprie impressioni. C’è chi dice di essersi divertito, chi afferma di aver intuito chi fosse il suo accompagnatore. Mariangela dice di essersi sentita molto protetta, sicura: afferma che la persona che l’ha guidata ha dimostrato di essere molto premurosa e delicata. Io mi inserisco al volo ed affermo apoditticamente: “Che bella persona deve essere costui, veramente un gentleman, un vero principe”. Tutti mi mandano a quel paese avendo capito che parlo di me stesso!

            Quando arriviamo a Serreto è pomeriggio inoltrato e ricomincia a piovere. L’accoglienza è calorosa ed il posto tappa è elegante. Anche questo paese è semideserto.

Durante la cena ci raggiunge l’assessore al turismo della Comunità Montana. Questi è un ragazzo poco più che trentenne ed è con noi stasera per illustrarci un po’ la realtà della valle in cui vive. Si siede a capotavola e vuoi perché sono dal lato opposto, vuoi perché c’è musica nel locale, non riesco neanche ad avvertire che timbro di voce ha. Mentre gli altri cercano di ascoltarlo, Valerio ed io conversiamo tra di noi, e come al solito ce la ridiamo. Ad un certo momento Maurizio ci rimprovera: “ma insomma volete ascoltare? Così resterete sempre della vostra opinione!”. Io rispondo: “ho capito, ma qui non si sente una sega!”. Maurizio ride. Alessandro che si trova accanto a me mi dice all’orecchio: “Madonna bona che pippone te tu ha preso!”. Io lo mando a quel paese.

            Sono senza sigarette e so che il posto più vicino per comprarle si trova a cinque km. Vedo che fuori dall’ingresso ci sono il padrone del locale ed un suo conoscente di Genova che fumano allegramente. Esco e fingendo di non sapere nulla chiedo se in paese c’è un tabaccaio. I due ridono. Dopo qualche scambio di battuta il conoscente del padrone mi offre una delle sue. Passata un’oretta riesco a spuntare un intero pacchetto. Nel frattempo sono usciti anche Valerio, Alessandro ed il Profeta. Si discute della tappa di domani. Il genovese ci propone di fare un giro più ampio di quello programmato, in modo tale che si possano vedere i laghi d’alta quota. Entriamo tutti nuovamente nel locale e proponiamo il suggerimento a Maurizio. La nostra guida dice che facendo così allunghiamo troppo la tappa. Noi cerchiamo di insistere, ma non c’è nulla da fare. Dopo un po’ Maurizio torna da noi e ci dice: “dai coraggio, visto che avete tante energie, ecco cosa vi propongo: ora si prende e si va fino a Campo Base. Prendiamo su le torce e si và! Adesso però, subito. Appena avete deciso mi venite a chiamare: io sono in camera”. Noi restiamo un po’ spiazzati, ci ha preso alla sprovvista. È sicuramente una provocazione e sa benissimo che nessuno di noi ne ha la minima voglia. Neanche lui ci andrebbe lassù, dovessero dargli anche un milione di euro. Sta bluffando! Chiediamo al genovese quanto c’è per Campo Base e questi ci risponde che ci vuole circa quarantacinque minuti. Poi aggiunge: “ma scusate, cosa cazzo ci andate a fare a quest’ora a Campo Base? Lassù non c’è nulla!”. Quest’ultima frase ci toglie qualsiasi residua volontà di fare questa passeggiata notturna. Torniamo sconfitti verso la nostra camera quando mi sovviene un’idea e la propongo ai miei compagni: “facciamo uno scherzo a Maurizio, fingiamo di voler andare davvero a Campo Base!”. Nei pressi della porta cominciamo a vociare: “si dai che sarà mai, in mezz’ora siamo là, vedrai!” – “si però io vengo così, non sto a rimettermi gli scarponi!” -  “ma sì, in fondo non piove neanche!”. Entrando nella stanza vediamo Maurizio in pigiama che si alza velocemente dal letto: è sorpreso ed ha una faccia tremendamente assonnata. Questa fatica ulteriore è proprio una brutta faccenda per lui! A questo punto, visto che lo scherzo è riuscito, lo prendiamo in giro sguaiatamente e ridiamo con lui.

            Il 23 agosto partiamo alla volta di Chialvetta. Dopo un paio d’ore di cammino Maurizio ci propone un altro gioco. Siamo tutti in cerchio con una bacchetta da trekking in mano: appena la guida dice “cip” occorre velocemente afferrare la bacchetta del compagno alla propria destra; quando dice “ciop” bisogna prendere quella del compagno alla propria sinistra. Chi la fa cadere viene eliminato. Io esco alla prima manche! Dopo una serie di eliminazioni vince Alessandro. Come premio ottiene da Maurizio l’investitura a guida per un giorno. Alessandro, con piglio autoritario, comincia subito a dare ordini a gran voce. Ad uno dice “eh muoviti ciccione!”, minacciandolo con un bastone; ad un altro “eh che l’è, si batte la fiacca? Forza sbrigarsi!”. Ad un certo punto si ferma: “bene, da ora i pe mezz’ora, ognuno fa un po’ quel cazzo che gli pare!”. È un ordine un po’ fuori dal consueto, ma trova subito terreno fertile: c’è chi si butta per terra, chi ruba cappellini ai compagni e li butta nei fossi, chi fa capriole! Per mezz’ora il gruppo veramente fa quel che gli gira per la testa. Quando Maurizio si accorge che in mano ad Alessandro la situazione potrebbe degenerare rapidamente, gli revoca d’autorità l’incarico e lo spedisce in fondo alla fila!

            Durante la salita, in alcuni casi molto impegnativa, ripeto per l’ennesima volta la domanda che da alcuni giorni propongo a Maurizio senza risposta: “perché vieni in montagna?”. Tale quesito è diventato un po’ il tormentone del trekking e ricorda vagamente il leit motiv del film “Salvate il soldato Ryan”, in cui il sergente Tom Hanks, non rivela cosa fa nella vita civile alla squadra che glielo chiede continuamente. Così come nella pellicola, anche Maurizio svela il suo segreto nel momento più drammatico, quando la salita diventa più diffide e il gruppo arranca: “vengo in montagna perché cerco la vetta che vidi da bambini e che non ho più ritrovato!”.

Nel pomeriggio scendiamo all’abitato di Pratorosso, poco distante dal posto tappa: qui c’è una moltitudine di ragazzi in vacanza che gioca nei pressi di un oratorio. Mentre siamo fermi al bar  per un caffé cominciamo a palleggiare con un pallone dei ragazzi. Dopo qualche scambio, Diego maldestramente lo manda sul vassoio delle tazzine e dello zucchero, provocando un disastro. Ci rimettiamo velocemente su gli zaini e di corsa ci allontaniamo dal luogo del misfatto.

In breve siamo a Chiavetta, altro paesino di poche anime. Prima di cena visitiamo un museo contadino, gestito direttamente da Rolando, proprietario della locanda in cui ci fermeremo stasera. Tra i diversi attrezzi, abiti ed accessori esposti, ancora una volta la mia attenzione è attratta dalle foto d’epoca: istantanee di un’altra epoca, volti di persone che furono, bloccate per sempre in uno scatto di vita vissuta.

A cena con noi ci sono anche Franchino e Bruna, che per l’occasione non ha preso clienti al suo posto tappa. Rolando ci racconta della sua vita, di quando era chef in alcuni dei migliori ristoranti d’Italia, e del suo sogno avverato: quello di tornare al suo paese e mettere su un’attività. Nelle parole del locandiere si avverte quanto sia difficile la vita tra queste montagne, quali difficoltà si incontrino, soprattutto in inverno, per i collegamenti e per gli approvvigionamenti, quanto sia facile restare isolati per diversi giorni. Rolando ci trasmette la passione e l’amore che prova per la propria terra e ci fa capire quanta forza ci voglia per superare tutte queste difficoltà, per andare avanti anche quando la situazione appare insostenibile.

Dopo cena torniamo verso i nostri alloggi. Nel cuore della notte, improvvisamente, comincia a sentirsi una suoneria: da prima brevi suoni appena percettibili, poi sempre più forti e frequenti. Siamo tutti convinti che si tratti di un cellulare. Ci si comincia ad accusare a vicenda. Ad un certo punto Vittorio dice: “ma è qui che suona, vicino al muro: deve essere un caricatore che sta per esplodere!”. Ci sono delle scene di panico semi-serio! Valerio finalmente accende l’interruttore della luce e si svela l’arcano: è un avvisatore acustico che segnala fughe di gas. Il Profeta comincia a gridare: “oddio qua moriamo tutti gasati!”. Stefano aggiunge: “ma davvero c’è una fuga di gas? Sono troppo giovane per morire!”. Alessandro gli risponde: “sta zitto Alzheimer, non ti ci mettere anche tu!”. Maurizio che sta dormendo in cucina e ci ha chiuso a chiave per paura di qualche scherzo, si sveglia alle nostre parole concitate ed in preda ad un rimorso terribile si avventa sulla maniglia della porta gridando: “vi salvo tutti, non temete!”. L’allarme nel frattempo è letteralmente impazzito! Valerio nel tentativo di disattivarlo prende anche una scossa. Per farlo smettere siamo costretti a staccare il contatore elettrico.

Al mattino, tornata la calma, non riusciamo a capire come mai sia suonato l’allarme nonostante la caldaia fosse in cucina e la porta ben chiusa. Secondo Rolando la causa non è dipesa dal gas dell’impianto di riscaldamento, ma da gas di diversa natura! A sentire questa spiegazione Valerio dice: “Ah Profè, ma che gnente gnente, tra il rusco e il brusco, stanotte hai fatto qualche altro miracolo!”.

Dopo colazione ci rimettiamo in marcia e dopo aver riattraversato Pratorosso, cominciamo l’ascesa al Passo della Gardetta. Il percorso è impegnativo ed il caldo intenso. Valerio stacca tutti e scompare su verso il fortino alpino abbandonato che domina la valle. Io lo seguo a poca distanza, mentre il gruppo è attardato. Ad un certo punto mi volto indietro e vedo il Profeta che viene su rapidissimo, leggero come una piuma: in pochi istanti mi raggiunge, mi supera di slancio e si dilegua. Per un momento credo davvero di assistere ad un evento soprannaturale!

Ad ora di pranzo siamo tutti al fortino.

Nel pomeriggio raggiungiamo il rifugio Gardetta, posto a 2.300 metri d’altezza e Maurizio lancia una nuova sfida: “chi vuol venire con me a scalare il monte Cassorso?”. Io accetto subito. Valerio, sebbene soffra di vertigini, non si tira indietro. Alessandro, dapprima scettico, si lascia convincere. Anche Stefano, Diego e Cinzia accettano.

Durante l’avvicinamento alla salita attraversiamo un prato pieno di stelle alpine e Maurizio, dando prova ancora una volta d’essere un dissacratore dei luoghi comuni, dice: “avete visto quante ce ne sono? Non date retta a quelli che dicono che sono a rischio d’estinzione! Ce ne sono a milioni!”. La scalata dura un’ora e mezza e in alcuni punti è sicuramente impegnativa, soprattutto là dove si devono superare sporgenze e passaggi esposti. L’unico modo per passare è quello di non guardare i baratri che si aprono verso il fondo valle. Una volta arrivati in cima ci si presenta uno spettacolo che da solo vale tutta la “vacanza”: dalla cima del Cassorso, più alta di diverse nuvole intorno, si domina tutta la valle con una prospettiva simile a quella che si potrebbe avere da un aereo. Il paesaggio del versante dal quale proveniamo ha assunto colori diversi, più intensi, con contrasti più marcati. A ovest si scoprono le prime vette francesi, mentre a nord le nuvole ci lasciano appena intravedere il Monviso. La nostra soddisfazione è enorme e tale da fornire una risposta definitiva alla mia domanda sul perché si venga in montagna.

Dopo aver firmato il “libro di vetta” ridiscendiamo quasi di corsa per l’entusiasmo dai nostri compagni mentre marmotte incuriosite ci guardano dalle soglie delle loro tane. 

Ancora mezz’ora di cammino a raggiungiamo l’azienda agrituristica “ la Meja ”, posta a 2.080 metri .

            È l’ultima sera che trascorriamo insieme e dopo la cena ci raccontiamo le impressioni che abbiamo raccolto durante questo trekking. Nelle parole di ognuno di noi si avverte una profonda soddisfazione, legata anche al fatto che le ultime tappe ci hanno svelato scenari d’alta montagna davvero suggestivi. Maurizio raccoglie elogi a tutto campo, soprattutto per il modo in cui ha saputo gestire il gruppo, per la sua umanità e simpatia e per il fatto di averci insegnato tante cose, sia naturalistiche sia climatiche: il tutto fatto con discrezione e senso del limite.

Prima di andare a dormire il Profeta ci rivela che domani non tornerà a casa con noi, ma continuerà da solo il viaggio per arrivare fino alla fine del Percorso Occitano. Tutti noi all’inizio non crediamo alle sue parole, ma poi, vedendo che Maurizio prende la cartina e gli mostra la strada che dovrà fare, restiamo esterrefatti ed anche un po’ preoccupati. La guida gli spiega che dovrà fare una lunghissima tappa, scendere di quota per 1.800 metri e poi risalire ancora. Insomma ciò che lo attende è una vera e propria impresa. Per completare lo scenario Maurizio gli dice: “Daniele, stai molto attento anche ai cani da pastore; dei lupi non devi temere, ma guardati dai maremmani, non invadere mai il loro territorio o rischi grosso!”. Valerio sentendo queste ultime parole e con la morte nel cuore prova un disperato tentativo di dissuasione: “ah Profè, ma lassà perde, ma chi te lo fa fa! Torna con noi, te volemo bene!”. Ma il Profeta ha deciso e domani partirà da solo per la sua missione.

            Il mattino dopo si presenta finalmente una giornata di sole senza nuvole: il cielo è sgombro e la temperatura assai mite. Non sembra proprio di stare a 2.000 metri .

È il momento di salutare Daniele. Prima di lasciarci il Profeta si lascia fotografare avvolto solo di una pesante coperta marrone e con in pugno il bastone pastorale! Alcuni di noi si fanno anche immortalare in posizione orante rivolti verso di lui. Stefano gli bacia perfino l’orlo del mantello. Quando lo vediamo allontanarsi, solitario, lungo il sentiero polveroso ci sale dall’animo un gran desiderio di pianto. Prima che scompaia dietro un dosso gli grido: “Profeta, sei un grande!”. Daniele si volta per l’ultima volta e, sollevando verso di noi il bastone, disegna in aria come un saluto.

            Riprendiamo il cammino verso il fondo valle. Dopo un’ora, su di uno spiazzo, Maurizio ferma la marcia e ci comunica che ora avverrà il primo dei saluti tra di noi. Ci fa mettere tutti in cerchio e ci dice: “ora ognuno di voi presenterà al gruppo la persona che sta alla propria sinistra”. È un po’ il tirare le fila della nostra avventura. Uno dopo l’altro vengono presentati tutti i compagni di viaggio, così come sono apparsi in questi giorni, con le particolarità che sono emerse, che si sono manifestate. Terminato il giro prima di riprendere la strada intervengo io: “fermi tutti: vi presento Daniele, il nostro Profeta, assente nel corpo, ma presente in spirito – risata collettiva – una persona perbene, delicata, buona: ha fatto tanto per noi! A lui vada il nostro pensiero e il nostro ricordo perenne!”.

Arriviamo a Preit in tarda mattinata, giusto in tempo per salire sul mitico Sherpa Bus e in poco più di mezz’ora siamo di nuovo a Macra, da dove siamo partiti otto giorni fa.

Passiamo da Bruna per un rapido saluto. C’è anche Jack ad attenderci. I due vedendoci ripartire sono commossi: in quel moto dell’animo vi leggo come una richiesta di non dimenticarli, di portare con noi la loro storia, di raccontare la loro valle in giro per il mondo. Sul piazzale in cui ci siamo incontrati per la prima volta una vita fa, ora ci salutiamo come fratelli, non più come sconosciuti.

Come per l’andata, anche per il ritorno faccio la strada con Cinzia, Stefano e Diego. All’altezza di Cuneo lasciamo l’autostrada in cerca di un’enoteca per acquistare del buon vino locale, ma non ne vediamo neppure una. Tornati in autostrada ci fermiamo per una sosta ad un Mottagrill ed è qui che finalmente troviamo ciò che cerchiamo: un ottimo Barolo d’annata.

A Piacenza mi faccio lasciare alla stazione. I miei compagni continueranno fino a Parma, dove scenderà Cinzia, poi Stefano e Diego raggiungeranno Mantova, dove finalmente terminerà anche il loro viaggio.

Dopo un’ora d’attesa riesco a prendere un treno per Lodi, dove mi attende la mia auto. Ancora venti minuti di strada e sono a casa.

 

Alla prossima.

 

A tutti coloro che sono arrivati a leggere fino in fondo questo racconto va il mio personalissimo ringraziamento. Spero di non avervi tediato troppo.

I fatti raccontati in questo scritto sono realmente accaduti tra il 17 e il 25 agosto 2007. Non nascondo che qualche episodio è stato leggermente alterato per renderlo più ridicolo di quanto già non fosse. Ma nella sostanza tutto quanto scritto può definirsi più vero che verosimile.

 

Luigi – Yanez -  

Ciao Maurizio.

Ti ringrazio dell'anticipo delle foto. Io sono ancora in un'altra dimensione ed è una dimensione molto bella! Ieri sera sognavo davanti al catalogo Boscaglia anche se probabilmente per quest'anno non potrò fare altri trekking. Ma il tempo dei sogni è sempre presente, che ne dici?

Un grazie di cuore e un arrivederci

Alessandra

 

Ciao Maurizio, il rientro e' stato tranquillo e ormai  la routine e' iniziata. Ti ringrazio moltissimo per la pazienza e disponibilita'  che hai avuto nei miei confronti

Elena

 

Colgo l'occasione per ringraziarti  per il modo attento e piacevole con cui ci hai guidati lungo la via romea e, dato che le foto le hai fatte a noi, te ne mando alcune dove ci sei anche tu! Buona fortuna e auguri alla tua famiglia Isabella

 

Ti ringrazio di cuore per l'ottima materiale ma, soprattutto per la meravigliosa giornata.

Un abbraccio

Claudio

 

Da parte mia e di Nicoletta un sincero grazie!!! Alla prossima avventura! Sofia- Nicoletta

 

 

grazie per la cartina che hai inviato. Ho apprezzato la tua guida sicura e determinata, la conoscenza del territorio sia sotto l'aspetto ambientale che culturale e naturalistico, i momenti di approfondimento sul significato del cammino, la disponibilità e responsabilità nei confronti delle persone e anche i tuoi momenti autorevoli e non, a mio giudizio, autoritari. Ciao Daniela

 

Il glorioso rimpatrio 2008

27/08/2008 10.21.06

Lo sapete chi sono i valdesi? Dopo la settimana di cammino nelle loro valli io adesso posso dirmi uno dei più grandi esperti in Italia di storia, tradizioni e religione valdesi. E come me lo sono tutt* i/le partecipanti al trekking che ripercorre le ultime tappe del viaggio che riportò alla fine del '600 i Valdesi nelle loro valli piemontesi dopo anni di persecuzioni ed esilio, oltre alla guida Maurizio Barbagallo che per la prima volta affrontava in gruppo questo percorso. Per raccontare meglio lo spirito del viaggio pubblichiamo di seguito il diario di viaggio di Yanez, un camminatore "grullo".  Alessandro Guardabassi

Il rimpatrio dei “grulli”

 

Da Salbertrand a Torre Pellice sulle orme del Glorieuse Rentrèe

  Ci sono momenti nella vita in cui un uomo si fa delle domande ed è tenuto a darsi delle risposte. Da troppo tempo, recandomi a lavoro, passavo davanti ad un cortile nel quale stazionava un cane con una catena al collo: “poveraccio – pensavo tra me e me - che vita da cane!”, per l’appunto. Appena svoltato l’angolo però nasceva spontaneo un paragone tra la condizione della povera bestiola e la mia: schiavo alla stessa maniera e forse di più, perché consapevole della faccenda. La cosa che però mi spinse a riconsiderare tutta la mia vita fu una in particolare: il carnet da dieci caffé (di cui uno in omaggio) del bar “My Chef” della stazione di Milano Lambrate. Non c’è niente di più angosciante, ve l’assicuro, del possedere un abbonamento di questo tipo. Certo ci sono quelli della metrò, del treno o del parcheggio per l’auto. Ma quello del caffé, in una stazione ferroviaria, luogo di partenza per elezione, è qualcosa che ti segna dentro e che non può passare sotto silenzio. Condannato fino ad esaurimento dei talloncini ad affacciarmi a questo bancone, sgomitando nella ressa, senza poter nemmeno ordinare qualcosa di diverso dal caffé.  E così, in una giornata di inizio luglio, decisi di cambiare la mia vita, ed il tutto avvenne con un gesto simbolico ed eclatante: presi il carnet, acquistato il giorno  prima, lo strappai con insolita calma in mille pezzi e lo dispersi fuori dal finestrino del treno che correva verso Treviglio, sbattendomene allegramente dei risvolti poco ecologisti dell’atto.

 

Qualche giorno dopo, con la consapevolezza di aver dato una svolta alla mia vita (vi piacerebbe saperne di più immagino: pazientate, la soluzione alla prossima puntata) cominciai a pensare alle ferie d’agosto. Il pensiero corse subito all’estate scorsa, alla Corsica e ancor più alla Val Maira: “chissà se si riesce a rimettere insieme il gruppo dell’anno passato? Sarebbe proprio una bella rimpatriata!”. E così in una stanca giornata di lavoro cominciai a gironzolare su internet per vedere se  non ci fosse qualcosa di interessante: le proposte che si susseguivano parlavano di Thailandia, di Perù, di Nepal, di Patagonia. Viaggi avventurosi ai confini del mondo, vette che sfidano il cielo, oceani abissali, deserti sterminati.  Niente tuttavia che potesse reggere il confronto con la Val Pellice! Ebbene sì, tra tanto “naufragar”, mi imbattei nella proposta del “Glorioso Rimpatrio”: otto giorni seguendo le tracce e le gesta della comunità valdese che sul finire del ‘600 fece ritorno dalla Svizzera nei luoghi nativi sfidando le ire (e ancor più le fucilate) dei regnanti di casa Savoia. La guida del trekking sarebbe stata, come per la Val Maira, Maurizio. A questo punto non mancava che contattare gli amici dell’anno passato. Alessandro da Firenze, detto Pigna, accettò subito. Diego di Mantova anche. Il Profeta, non fu rintracciabile, essendosene perse le tracce a Masi-Manimba nel Congo: pare che lo scopo del suo viaggio fosse una missione pastorale tra le tribù bantu della regione del basso corso del fiume Wamba (resta ancora qualche piccolo dubbio su chi abbia pagato le spese di viaggio). Stefano, detto Alzheimer, decise al contrario di iscriversi ad un viaggio Zeppelin per trovar moglie.  Valerio di Roma bloccò il posto e si riservò di versare la quota d’iscrizione nei giorni successivi. E così verso la metà di luglio avemmo la certezza che il gruppo dell’anno passato, almeno in parte, si era ricostituito: la rimpatriata dei “grulli” non era più un miraggio.

Ai primi d’agosto Maurizio mi contatta telefonicamente sul cellulare per le ultime raccomandazioni. La conversazione dura pochissimi minuti, al contrario di quella dell’anno passato. Inizialmente motivo la differenza con il fatto che l’altra volta mi chiamò sul fisso (da poco ho cambiato numero e non l’ho comunicato). Riflettendoci bene  però e sapendo che gli aspetti veniali della vita non sfiorano nemmeno lontanamente Maurizio, mi convinco del fatto che abbia dato tante cose per scontate sapendomi ormai un viaggiatore provetto.

Dopo qualche giorno Valerio mi comunica che non sarà del gruppo: non se la sente di partire: ha ancora “troppi pensieri per la testa”. Io più che dargli qualche suggerimento catartico, tipo quello della liberazione dal carnet non posso fare, e dunque pur dispiaciuto, accetto la sua decisione senza insistere.

Nel primo pomeriggio di sabato 9 agosto ci ritroviamo tutti alla stazione di Torino. La prima cosa che mi dice Maurizio appena mi vede e ancor prima di salutarmi è: “tu mi devi 20 euri”. “Ma dai Maurizio - replico ironicamente - vuoi sempre soldi. Guarda che me li sono portati contati sta volta!”.   Quasi contemporaneamente giunge il solito sms di Valerio: “Aho sei arrivato? La domanda di rito è: come butta a gnocca? Quante orme daresti alle donne del trek?”. Al che, per non deprimerlo ulteriormente e soprattutto per non farlo rammaricare di non essere dei nostri rispondo: “è na traggedia: quasi quasi risalgo sul treno e me ne torno a Milano!”. In realtà il gruppo non è affatto male, ed anzi vi sono alcune individualità di notevole spessore, tali da far immaginare una settimana all’insegna non solo di risate becere e goliardiche, ma anche di conquiste sentimentali (o presunte tali).

Da Torino prendiamo un orrendo trenaccio locale che fermando in tutte le stazioni ci conduce a Salbertrand. Una breve visita alla ridente cittadina e poi subito su verso il nostro primo posto tappa. Due ore di cammino e 700 metri di dislivello in salita sono il primo assaggio di ciò che ci attenderà nei prossimi giorni. Nel tardo pomeriggio giungiamo speditamente in località Montagne Seu a quota 1.771 metri. Questa notte dormiremo presso il rifugio Daniele Arlaud.

A cena cominciamo a conoscerci. Tra di noi, a parte il gruppo dei “grulli” della Val Maira ci sono anche due ragazzi di Roma, Elettra e Alessandro; Renato viene da Bergamo; David da Siena, Piero da Firenze. Ci sono poi Luca, Roberta dall’Emilia. E ancora Silvia e poi Alessandro da Rovereto. Insomma siamo un bel gruppo di 15 persone che provengono da diverse località del centro - nord. Le pietanze che arrivano in tavola non sono il massimo (due canederli due – di numero; tre wuster abbrustoliti e una manciata di patate al forno semi-crude), ma in fondo sul programma c’era scritto che il viaggio era “avventuroso” e dunque nessuno si lamenta. Prima di ritirarci Maurizio comincia la lettura del Diario di Henri Arnaud, pastore e leader valdese, vera anima del rimpatrio. E' sicuramente una buona idea quella di leggere i passi del libro che si riferiscono ai luoghi in cui transitiamo. A maggior lode per la nostra guida, inoltre, c'è il fatto che il tomo è di dimensioni ragguardevoli (non meno di due-tre kg.) e sicuramente il suo peso si sente su per le salite (Dio solo sà quante volte il nostro nei giorni a venire penserà di disfarsene all'insaputa del gruppo: se solo non ci si fosse affezionati tanto alla lettura serale...!).  La sistemazione per la notte avviene in due locali con ampia possibilità di scelta dei letti: sarà la prima e unica volta che ci accadrà. Renato dichiara subito di essere un forte russatore, ma nessuno gli dà credito (presto ci ricrederemo). Altri affetti dallo stessa "malattia" non si disvelano. La notte comunque passerà pressoché insonne dalla gran parte del gruppo. Al mattino a colazione infatti tutti dichiarano la difficoltà incontrata a prendere sonno. Ci si accusa un po’ tutti reciprocamente, ma la dichiarazione più buffa appartiene al Pigna che parla del suo compagno di letto a castello: “sì sì, anche lui russava, ma bastava che dondolassi un po’ il letto e lui smetteva”. Al che Luca stizzito risponde: “mo va beh, tu dondolavi, ma io ero sveglio! Non ero mica io che russavo!”. Insomma non se ne esce.

In breve siamo pronti per partire. Oggi si arriva a Usseaux: 6 ore di cammino per 800 metri di dislivello in salita e 1.200 in discesa.

La marcia sul sentiero è decisamente gradevole e si sviluppa attraverso abetaie fitte e rigogliose. Maurizio comincia a descrivere con dovizia di particolari (anche troppa) le piante che incontriamo, ma in breve dal gruppo emerge Luca, esperto botanico, che spesso interviene per aggiungere dotte spiegazioni. A mano a mano che proseguiamo è chiaro che questi ne sa molte di più della nostra guida. Quando Maurizio, cercando di fare lo spiritoso, ci  mostra una piantina di timo dicendo “se a te ti garba una tipa, ti avvicini con questa e le dici: timo”, il gruppo perde definitivamente fiducia in lui ed il botanico, detto Ciccio-Botanico per la leggera pletora che lo caratterizza, viene eletto a consulente ufficiale del gruppo.

Dopo aver pranzato sul colle dell’Assietta (2.567), ai piedi del monumento che ricorda la battaglia combattuta dai granatieri di Sardegna contro i francesi nel 1747, comincia la discesa. Durante il tragitto ci imbattiamo in un meraviglioso ruscello di montagna, al cospetto del quale non si può passare indifferenti. Buttati a terra gli zaini, infatti, ci dirigiamo verso le sue fresche acque per alleviare un po’ della fatica e del caldo accumulato. Alessandro da Rovereto individua subito una pozza e spostando alcuni massi si crea in breve un’ampia piscina naturale. Il Pigna, vedendolo armeggiare in maniera concitata, esclama: “va che cignale….! (cinghiale in dialetto fiorentino) Ora gli manca solo di rotolarsi nella merda!”.

Nel frattempo Elettra ci si è avvicinata ed ascolta con interesse i racconti che il Pigna fa dei suoi viaggi in Tanzania e degli orfanotrofi che ha visitato in quei luoghi. La ragazza è evidentemente rapita da tale affabulatore, e non si perde neanche una parola. Il Pigna se ne accorge ed ancor di più dà colore ai propri ricordi. Ma improvvisamente compare alle nostre spalle Maurizio il quale, cogliendo l’occasione di una piccola pausa nel racconto, gli spara una domanda assassina: “hai già pronta la camera per la bimba?”. “Quale bimba – chiede Elettra – stai per diventare padre? Non me l’avevi detto!”. Il Pigna digrignando i denti verso Maurizio risponde: “eh sì, a gennaio sarò babbo!”. Elettra si allontana quasi subito.

Nel pomeriggio, dopo una breve e doverosa pausa birra a Cerogne,  arriviamo a Usseaux (1.416). Questa notte alloggeremo presso il posto tappa del falegname locale.

Dopo esserci sistemati ci ritroviamo in veranda in attesa della cena. Quella vecchia spugna di Diego avvicinandosi mi sussurra: "il gestore sarebbe disposto ad offrirci da bere!". "Questa sì che è una buona notizia - dico io rivolto al gruppo - che ne dite di fare un aperitivi?". La domanda appare quasi retorica, tanti e tali sono gli "intenditori" del gruppo. Il falegname ci porta un bel litro di rosso e nessuno si tira indietro. Renato intanto ha cominciato a raccontare dei suoi incredibili viaggi e delle difficoltà che si incontrano soprattutto in luoghi desertici dove scarseggia l'acqua. La cosa che più lo impensierisce però è una: restare senza carta igienica. "Sarebbe proprio un bel guaio - afferma - non saprei proprio come risolvere la situazione: per fortuna che non mi è mai capitato!". Io ascolto rapito il ragionamento e dando fondo a tutte le competenze acquisite in anni di trekking avventurosi gli fornisco la soluzione: "caro Renato, che problemi ti fai? Dobbiamo sempre prendere esempio dalla natura: in caso si restasse senza carta igienica la soluzione migliore è fare come fanno i cani: strisciare il culo in terra!".

A tavola ci sono con noi dei ragazzi tedeschi ed il Cigna dà sfoggio della padronanza della lingua. I nostri commensali vogliono sapere qualche informazione sui sentieri e sulla storia valdese e Maurizio è felicissimo di poter essere loro utile: non gli pare vero che qualcuno gli possa ancora rivolgere delle domande!

Dopo cena ci intratteniamo ancora in veranda. Ad Alessandro da Roma improvvisamente sfugge il bicchiere di mano e pezzi di vetro volano ovunque, mentre una pozza di vino si allarga sul pavimento. Afferrando Il Foglio del Cigna che si trova sul tavolo accorro in aiuto : "dai, tampona con questo: come carta assorbente è il massimo! E' l'ideale per questo genere d'inconvenienti. Poi però non buttarla: potrebbe sempre servire a Renato!". Nel frattempo ci ha raggiunto il falegname il quale, guardando Alessandro intento a ripulire il pavimento, esclama apoditticamente: "cos'è successo: sei di nuovo ubriaco?". Alessandro lo guarda interdetto e replica: "di nuovo in che senso, scusi?". "Ma sì dai - aggiunge il falegname - scommetto che sei stato tu poco fa a rompere l'altro bicchiere!". "Guardi che si sbaglia, non sono mai stato così sobrio!". "Vabbè, comunque adesso mi tocca lavare il pavimento! Ora stai bel tranquillo: siediti e non bere più!".

Prima di andare a dormire facciamo un giro per il paese: in pochi minuti, date le piccole dimensioni dell'abitato, ci ritroviamo nella piazzetta dove c'è l'unico bar. "Cosa prendiamo da bere? - dice Alessandro - Mi andrebbe un digestivo: ecco, se ci fosse un Braulio sarebbe il massimo". Io appoggio la proposta con grande entusiasmo. Gli altri presenti restono sorpresi. E' davvero incredibile quanto poco sia conosciuto e dunque apprezzato il nostro miglior amaro! Quando si dice l'ingiustizia del mondo! Il barista, rammaricato, ci dice che non ha il Braulio e quindi siamo costretti a ripiegare su un mediocre distillato alle erbe. Alla spicciolata tutti quanti si ritirano nei propri "appartamenti". Restiamo al tavolino solo Elettra ed io, parlando un po' di noi, del gruppo e delle impressioni maturate fino ad ora sul trekking. Elettra è una bella ragazza di Roma ed è incredibilmente intelligente: la classica persona che dice le cose giuste al momento giusto. Si muove con grazia e lentezza e quando ascolta qualcuno lo guarda dritto negli occhi aggrottando le sopracciaglia, tanto che mi troverò spesso a doverle dire: "non mi guardare così, ti prego, mi intimorisci!". Ha una vera passione - che spesso focia nella mania - per la fotografia ed è capace di assumere posizioni da contorsionista pur di immortalare una scena particolare. Se si fissa su un soggetto poi, lo fotografa da ogni punto cardinale, suscitando a volte imbarazzo, ma più spesso compiacimento: in fondo a chi non piacerebbe essere al centro dell'attenzione (il Pigna ad esempio, nei giorni a seguire mi dirà con orgoglio e sarcasmo: "Elettra mi ha dedicato un intero servizio! A te due sole foto, mi pare!"). E' bello stare all'aria aperta sotto le stelle, accarezzati dal vento fresco della notte. Purtroppo però siamo richiamati al dovere: domani la sveglia è puntata alle h. 5.45, ci attende la tappa più lunga del viaggio (7.30 ore di cammino per 1.500 metri di dislivello in salita e 1.200 in discesa).

Quando ci leviamo è ancora buio, ed i nostri movimenti sono estremamente rallentati, così come soffuse sono le nostre voci. Quando vado per lavarmi i denti mi accorgo di aver lasciato il doccia-schiuma in bagno la sera prima. Mi dò subito del "coglione" e solo per scrupolo vado a cercarlo: ovviamente lo ritrovo vuoto e con un gentilissimo bigliettino: "grazie".

Dopo colazione ci mettiamo in marcia. Superato un ponte comincia la salita, dolce e lunghissima. Dapprima all'ombra di un fitto bosco di abeti e larici ed in seguito, man mano che saliamo, lungo pascoli e praterie d'alta quota. In prossimità dello scollinamento a 2.800 metri una fitta nebbia avvolge tutto ed improvvisamente la temperatura precipita. Siamo dunque costretti a coprirci con pile e giacche a vento. Solo Diego procede imperturbabile in t-shirt (che stia dando fondo alle proprie riserve etiliche?). Il tempo sta cambiando rapidamente, e Maurizio suggerisce di mangiare un boccone alla svelta e di rimettersi subito in marcia per la discesa. Il pranzo è quanto di più frugale abbia mai visto in vita mia: due stoppose fettine di pane con un cubetto di toma. In questo frangente si assisterà a scene da vita sub-urbana, come quella del rovistare tra i rifiuti in cerca di un pezzo di formaggio avanzato o di un tozzo di pane sdegnosamente rifiutato. Prima di ripartire Maurizio applica al ginocchio dolorante di Roberta uno dei suoi rinomati intrugli omeopatici e le stringe con una fascia elestica la gamba. Assistendo alla medicazione nasce spontanea una discussione: qualcuno ironizza sull'efficacia di queste pozioni (tipo i semi di pompelmo), altri sostengono che in fondo male non fanno. "Basta, basta discutere - dice Maurizio - Ora ci si divide lo zaino della Roberta, così l'alleggeriamo per la discesa". Sono tutti d'accordo e a gara ci si precipita a prender sù gli oggetti e le sacche più pesanti, nonostante il rifiuto iniziale della nostra amica. Ha sempre un colore particolare la generosità in montagna.

Durante la marcia, nel fitto della nebbia e sotto una pioggia che si va intensificando sempre più, ci imbattiamo in tre figure: sono tre nostri associati di Pinerolo, due dei quali guide. Hanno risalito il versante opposto al nostro e ci condurranno incolumi a valle. Questo incontro c'era stato preannunciato da Maurizio nei giorni scorsi, ma al momento nessuno se ne ricordava. Le condizioni meteo precipitano: in breve ci troviamo avvolti da una bufera. Scendiamo a gran velocità giù dai pendii e ci fermiamo esclusivamente per ricompattare il gruppo. Le rare volte infatti che le guide locali fermano la marcia per dare qualche spiegazione paesaggistica, rischiano di essere superati dal gruppo a cui in questo momento non interessa altro che mettersi al riparo. Siamo completamente fradici, nonostante le giacche e le mantelline per la pioggia. Nel tardo pomeriggio raggiungiamo Balziglia e siamo sfiniti. 

Questa notte alloggeremo nella casa - scuola valdese. I letti disponibili non sono sufficienti per tutti, complice anche la presenza di due ragazzi finlandesi che non avevano prenotato in anticipo. Mandarli via non sarebbe per niente elegante e dunque ci ingegniamo per trovare una sistemazione alternativa. Dopo aver vagliato tutte le possibili soluzioni, decidiamo che la migliore è quella di dormire nel museo commemorativo adiacente alla scuola. Spostando alcuni materassi in soprannumero, trasformiamo il museo in una accogliente camera da letto, nella quale i plastici, le aste delle bandiere e le vetrine diventano degli ottimi ripiani ed appigli per stendre mutande, calzini e tutto quanto si è inzuppato sotto la pioggia. Certo la scena agli occhi di un eventuale visitatore sarebbe decisamente surreale, ma purtroppo non possiamo fare altrimenti. Per un momento poi sembra che anche i materassi non siano sufficienti: "Ehi Diego - dice Maurizio - che ne dici se dormissimo per terra, magari con una coperta?". Diego resta per un attimo senza parole, poi farfuglia: "beh, insomma, io soffrirei un po' di mal di schiena....! Almeno una seconda coperto per coprirsi?". "Ma scherzi - replica Maurizio - ci mancherebbe!". Alla fine per fortuna saltano fuori anche gli ultimi due materassi e la faccenda si conclude nel migliore dei modi.

La cena di questa sera ci viene recapitata da una dolcissima signora valdese che parla un po' come Tremonti e che abita poco distante da qui: un marmittone di minestra e delle bistecche di roast-beef. Dato però che i nostri appetiti sono quasi feroci decidiamo di cucinarci anche il pacco da tre kg. di spaghetti che fa bella mostra  di se in cima ad una mensola della cucina. Per un attimo si sfiora la rissa sul fatto di infilare o meno nel sugo di condimento anche una scatola di piselli. A chiudere la serata una bottiglia di profumatissimo genepì, generosamente offerto dalla valdese. Tutti a nanna.

La mattina succesiva ci si alza senza sveglia: dopo una tappa così impegnativa, ci riposiamo con una decisamente più soft. Quando apro gli occhi la prima cosa che vedo sono i ritratti di due barboni che mi scrutano con severità: sono Arnaud e Gianavello, i condottieri valdesi, evidentemente incazzati con il nostro attendamento tra i cimeli del Glorieuse Rentrèe.

Dopo la colazione stancamente ci rimettiamo in cammino. Maurizio ad un bivio si ferma e dice: "dunque, abbiamo due alternative, o si va su per questo sterrato tra il bosco per 600 metri in salita; oppure si discende giù dolcemente verso Sanza". Il Pigna sottovoce butta lì "ma te se grullo....", e si incammina verso valle. Il resto del gruppo lo segue senza minimamente prendere in considerazione la salita. E così, con estrema lentezza, ci inoltriamo lungo una strada secondaria che attraversa diversi paesini del fondo valle. A Massello incrociamo nuovamente la signora che ci ha portato il cibo la sera prima. Ci fermiamo a discutere con lei e l'occasione è propizia per farle alcune domande sulla sua fede valdese. Renato è curiosissimo e le spara domande a raffica. La signora ci conduce anche alla casa del tempio per una breve visita. Qualcuno, pur di fare bella figura davanti a tutti, mente spudoratamente dichiarando di aver dato l'8x1000 alla chiesa Valdese: naturalmente nessuno gli crede!

Oramai è quasi ora di pranzo e, sebbene il cammino percorso oggi sia da 1/2 orma scarsa, decidiamo di concederci un pranzo con tutti i crismi. A poco meno di un km. ci fermiamo ad una foresteria di gran lusso e ci facciamo servire agnolotti al pomodoro, un tagliere di affettati e formaggi vari, vino, torta e caffè. Del Braulio nessuna traccia neanche da queste parti! Prima di ripartire qualcuno si regala anche una lussiosissima partita a calcio-balilla.

Una breve marcia pomeridiana ci conduce lentamente a Didiero di Salza, dove a dar retta a Maurizio ci attende un agriturismo. In realtà la nostra guida non è mai stata da queste parti e il luogo in cui dormiremo stanotte è una stanzuccia di 3 metri per 3. Quando siamo tutti dentro non ci si riesce nemmeno a muovere. Ogni movimento deve essere coordinato allo spasimo, altrimenti ci si infligge terribili gomitate e ginocchiate forse non del tutto involontarie.  Un claustrofobico avrebbe seri problemi a restare qui dentro. Ovviamente il bagno è unico e per lavarci tutti ci mettiamo un tempo infinito. Fortunatamente però non abbiamo fretta. A sera ci troviamo per cena tutti belli e puliti: sono gli ultimi momenti in cui possiamo sfoggiare un abbigliamento decoroso: da domani si comincerà a utilizzare a rotazione la roba usata nei giorni precendenti!

A tavola si instaura una discussione socio-politica dai toni anche accesi. Si discute del tema della sicurezza e spontaneamente emergono le posizioni del gruppo: chi più di destra chi di sinistra. In questa occasione rifletto su un aspetto linguistico del dialetto romano: Elettra, seduta accanto a me, spesso usa l'espressione "eh certo" mentre ascolta qualcuno che parla, mentre altre volte dice "enfatti". In entrambe i casi è d'accordo con la persona che sta parlando, ma mentre nel primo caso il coinvolgimento è quasi totale, vale a dire una concordanza assoluta con la tesi esposta, nel secondo caso appare un minor coinvolgimento: come a dire "sono d'accordo, ma mica tanto, e comunque la cosa non mi interessa granchè!". E' un po' come la differenza insita tra "mei cojoni" e "sti cazzi": nel primo caso espressione di profondo apprezzamento; nel secondo di totale disinteresse. Meraviglioso.

Nel frattempo ha ricominciato a piovere a dirotto. Tutti a dormire.

Al mattino il cielo si è rasserenato ed il sole ancora basso illumina con luce dorata tutta la vallata.  L'unico rumore che si ode, a parte il nostro vociare, è lo scrosciare del ruscello poco distante dal nostro "agriturismo". Questa valle è davvero immersa in un silenzio irreale. Appena pronti ci si muove alla volta delle miniere di talco di Salza, subito al di là del versante. Durante la marcia si parla tra gli altri con Piero. Ad un certo punto gli chiedo in che zona di Firenze abita. Al che mi risponde: "ma guarda, penso che non si abiti poi così distanti!". A sto punto mi rendo conto che il nostro compagno mi ha scambiato per fiorentino: in effetti, di tanto in tanto in questi giorni, ho buttato lì qualche espressione in toscano (o simil-toscano), coadiuvato dal Pigna. I dialetti ed i vernacoli sono la mia passione, lo ammetto. E così, avendo ricevuto l'imprimatur da un fiorentino doc, prendo una decisione storica: muterò il mio nome e la mia residenza. Tra breve sarò Yanez Novelli Cioni, da Lamporecchio.

Alle 11.00 giungiamo alle miniere, giusto in tempo per prendere parte alla visita guidata. Ovviamente la parte che visiteremo non è più attiva, ma comunque lo staff ci fornisce elmetti protettivi contro eventuali cadute massi o colpi accidentali contro le pareti. Per mezzo di un trenino elettrico raggiungiamo la zona attrezzata per il tour e cominciamo ad esplorare gli ambienti. Il freddo è notevole quaggiù, ma la visita è davvero interessante. Grazie al fatto di aver letto Germinal di Emil Zola, sparo una decina di domande una più precisa e puntuale dell'altra, facendo un figurone straordinario. Qualcuno accenna anche un applauso. Quando poi il nostro accompagnatore chiede se c'è un volontario per un esperimento, mi scaravento tra la folla come un parà della folgore: "ecchice, pronti". L'esperimento consiste nell'impugnare una trivella da 50 kg. e forare una parete rocciosa. Prima di accingermi al compito lascio la fotocamera ad Elettra e le chiedo di non perdersi il momento clou. La sensazione è davvero tremenda: la potenza di quello strumento infernale è agghiacciante, tale da sconquassare ogni parte delle membra e da dare una bella frullatina al cervello. Fortunatamente l'esperimento dura una manciata di secondi, altrimenti dopo l'Alzheimer della Val Maira avremmo avuto anche quello della Val Pellice. Tornando verso Elettra le chiedo: "allora, hai fatto la foto? Come sono venuto?". "No, guarda, c'era troppo rumore - risponde - non riuscivo neanche a tenere gli occhi aperti". "Ma porca putt......- mi scappa detto - come sarebbe a dire? Ma non potevi darla ad un altro? Scusa Maurizio, adesso si torna un secondo indietro, e si rifà il tutto!". I compagni però sono già tutti pronti ad uscire e si stanno sistemando sul trenino. Vatti a fidare delle donne!

Dopo una lunghissima pausa pranzo causata dall'eccessiva folla al bar-trattoria della miniera, ci dirigiamo alla volta di Ghigo di Prali. Nel fitto del bosco incrociamo uno splendido torrente. Ancora una pausa di un'ora in cui il Cigna non perde l'occasione per farsi un altro tuffetto. Maurizio nel frattempo cerca di scalare una parete, ma vi rinuncia quasi subito. Altri si distendono al sole.

Nel tardo pomeriggio raggiungiamo la nostra meta, un paese di fondo valle, decisamente grande al confronto di quelli che ci hanno ospitato fino ad ora. Le sistemazioni sono molto confortevoli e gli "spazi vitali" delle camere sono tali da farci quasi sentire un senso di lontananza con i compagni di viaggio. Questa sera a cena sono nostri ospiti i tre ragazzi che abbiamo incontrato sui monti di Balziglia. Uno di questi mi confessa di aver letto il racconto della Val Maira per farsi un'idea di Maurizio. "E quindi - dico io - che opinione ti sei fatto?". "Ma guarda - mi risponde - leggendo dei giochi che vi fa fare, dell'ohm tibetano ed altro, ho avuto un po' di timore!". "Ascolta - gli rispondo - se è solo di questo che eri preoccupato, sei a posto: non fa più niente di tutto ciò! Gliel'hanno proibito!". La serata prosegue allegramente tra aneddoti e ricordi di trekking precedenti ed in breve si fa notte. E mentre lentamente ognuno si congeda, Maurizio ed io accompagnamo alla macchina i nostri amici di Pinerolo e ci ripromettiamo di trovarci ancora su qualche sentiero.  

Giovedì 14 agosto lasciamo Ghigo di Prali e ci accingiamo ad intraprendere la salita verso il rifugio del Lago Azzurro, appena sotto il confine francese. La prima parte del percorso si sviluppa all'interno di una fitta boscaglia in cui il sentiero è appena individuabile: un machete sarebbe stato senza dubbio utile. Su un crinale Renato lancia l'allarme: "Ho lasciato la borsa con soldi, cellulare e documenti a Ghigo!". Maurizio, con grande competenza, contatta l'albergo in cui abbiamo pernottato ed in breve risolve la faccenda: il tutto verrà spedito a Bergamo a casa del nostro compagno. E' rassicurante sapere di essere in buone mani, sempre e comunque.....!

La salita dura quasi 4 h. per un dislivello di oltre 1.000 metri. La fatica è tanta anche perchè, a differenza delle volte precedenti, si procede su sentieri che si inerpicano con strappi violenti. Fortunatamente non fa caldo: sebbene infatti il cielo sia sereno, il vento è freddo e non è consigliabile fermarsi, se non per brevi attimi, giusto per riprendere un po' fiato. Improvvisamente, dopo l'ennesimo dosso, si staglia davanti a noi un'asta sulla quale sveltolano tre bandiere: quella italiana, quella con la croce occitana e quella tibetana. Siamo ormai in dirittura d'arrivo.

Il rifugio troneggia tra le vette a quota 2.583 metri ed è adagiato su un pianoro ai bordi del lago omonimo. E' in fase di allargamento e ristrutturazione, dopo che una frana, staccatasi dal crinale alle sue spalle, lo ha investito parzialmente. Sicuramente è una bella struttura inserita in un contesto quasi fiabesco.

Il nostro arrivo coincide, guarda caso, con l'ora di pranzo. Ci sono già degli avventori ai tavoli, ma il nostro ingresso, in gran numero ed affardellati, mette un po' tutto l'ambiente in subbuglio. Maurizio ed io spostiamo un tavolo per unirlo ad altri due, ma veniamo redarguiti dal gestore, quasi in preda ad una crisi isterica. Ed io che pensavo che la tranquillità interiore fosse il compenso spettante a chi si trova a gestire luoghi come questo! La collega dello stressato in compenso è molto gentile ed il cibo è buono. Soprattutto i dolci: la torta al cioccolato e quella ai pinoli sono sublimi. Nel pomeriggio, dopo esserci sistemati nelle camerate, ci godiamo un meritato relax: chi gioca a carte, chi guarda riviste (rigorosamente di montagna), chi chiacchiera stancamente. Silvia e Roberta si esercitano sotto la bandiera tibetana con la pratica del tai - chi; Elettra ed il Pigna invece ingaggiano una partita a scacchi all'ultimo sangue. Quando li raggiungo il Pigna è in una situazione disperata: ha perso quasi tutti i pezzi e difende il re con pochi pedoni. Sono entrambi alle prime armi: le regole del gioco infatti  gliel'ha insegnate un pargolo che si trova qui con i genitori. Mi basta un'occhiata per capire che con una mossa la partita è chiusa. Ma Elettra non ne vuole sapere: vuole vincere da se, testarda ed orgogliosa come sempre. Anche Alessandro da Rovereto assiste alla partita e di tanto in tanto dà qualche suggerimento, per lo più ad Elettra, suscitando le ire del Pigna che lo manda platealmente a quel paese. La partita si concluderà dopo più di un'ora, soprattutto per lo sfinimento di entrambi i concorrenti. E la vittoria, ovviamente, sarà di Elettrà.

A cena ordiniamo tutti minestra, salvo il Ciccio-Botanico che preferisce ancora la pasta. Non appena i piatti arrivano in tavola, suggerisco al Pigna di fare un scherzo al nostro amico. "Chi ha preso la pasta?" - dice la cameriera. "Per me, grazie!" - risponde il Pigna. "Come sarebbe a dire? -protesta il Botanico - guarda che l'ho presa io la pasta! Tu hai ordinato minestra!". "Ma non dire bischerate, vai! - replica il Pigna - Anzi se c'è qualcuno che ne vuole un po'!". Tutti ridono avendo capito lo scherzo, anche il Botanico, ma per un momento la scena mi ricorda i tempi delle elementari, quando capitava che i ragazzini più perfidi rubassero la merenda a quelli più indifesi.

Prima di andare a letto Renato, Elettra, Pigna ed io mettiamo su una mano di poker. Renato accetta al solo patto di non giocare quattrini. Molti sono già a dormire e non si può fare chiasso. Anche sta volta Elettra non sa le regole e dunque siamo costretti ad insegnargliele. In più fa confusione con i mazzi di carte e siamo obbligati a ricontarle più di una volta. Dopo poche mani, complice una fortuna sfacciata ed un paio di bluff da gran maestro, il Pigna ci ripulisce tutti. Come scusante per i perdenti il fatto che la partita non potesse essere considerata regolare: non s'è mai visto un poker in cui non si giocano soldi, non si bene whisky fumando un sigaro e soprattutto non ci si urli dietro improperi da cantina sociale!

Prima di ritirarci il Pigna ed io fumiamo un ultimo cicchino fuori dal rifugio, ma al momento di rientrare ci accorgiamo che la porta si è chiusa dietro di noi e non si riesce ad aprire. Spira un vento freddissimo e non c'è verso di farci aprire dall'interno: se cominciassimo a gridare ne andrebbe di mezzo il nostro orgoglio (ma ve l'immaginate la scena?). "Siamo proprio due grulli - esclama il Pigna - e ora come sì fà?". "Secondo te - rispondo - resistiamo fino a domani?". Per un istante ci guardiamo e non c'è bisogno di parole. La vicenda può essere raccontata ora, per fortuna, solo perchè la porta, messa alle strette, non oppone troppe resistenza. Salvi per miracolo.

Nell'anticamera sono stati lasciati scarponi ed indumenti vari ed il cattivo odore ha saturato tutto l'ambiente. Da che il gestore poi ha acceso la stufa gli afrori si sono moltiplicati in maniera esponenziale. Qualcuno, assolutamente incredulo del fatto che gli esseri umani possano arrivare a puzzare tanto, sbircia disperatamente per ogni dove  convinto di ritrovare prima o poi la carcassa putrefatta di una capra bagnata. Ma la ricerca non dà risultati.

Riprende a piovere con violenza, e al calduccio sotto le coperte, Maurizio ci legge l'ultimo capitolo della saga dei Valdesi.

Al mattino la sveglia suona molto presto, ma stranamente nessuno si leva dal letto. La nostra guida si è resa conto che non si può partire con questo tempo e dunque ha lasciato che riposassimo ancora. Con molta calma facciamo colazione e ci prepariamo per l'eventualità che il meteo migliori. Verso le 10.00 finalmente le condizioni climatiche ci consentono di muoverci. Oggi ci attende la seconda tappa più impegnativa del viaggio: 7h. di cammino con 450 mentri di dislivello in salita e ben 1.600 in discesa. Tipo quella mitica percorsa dal Profeta l'anno scorso in Val Maira ("Ah Profè, ma che c'hai le ginocchia d'acciaio?" - frase di Valerio da Roma, riportata nei manuali di trekking).

Il nostro percorso si sviluppa inizialmente su continui saliscendi che ci consentono di restare sempre in quota. Quando dopo un paio d'ore di marcia raggiungiamo il monte Giulian (2.547) comincia la discesa verso valle. Spesso avvistiamo rapaci che volteggiano nel cielo, ma l'incontro più spettacolare, anche se a parecchia distanza, è quello che facciamo con un bellissimo camoscio. Durante una pausa io e il Pigna ci facciamo fotografare dal basso verso l'alto attaccati ad una roccia, fingendo di essere impegnati nella scalata di una parete verticale. Il gruppo ride a buona ragione.

La breve sosta pranzo la facciamo presso delle bergerie diroccate, elette a zona di ricovero dalle vacche che pascolano su questi crinali. C'è merda ovunque, ma nel caso dovesse caderci il cielo addosso almeno potremmo trovare subito riparo.

Nel pomeriggio il tempo cambia ancora: tuoni poderosi e lampi abbaglianti ci inseguono per lunghi tratti e solo per fortuna riusciamo ad evitare che la bufera si avventi su di noi. Poi d'improvviso Maurizio urla: "Eccolo, lo vedete? Laggiù?". Il gruppo si ferma e, voltandosi nella direzione indicata dalla nostra guida, si trova davanti allo spettacolo del Monviso, solitario e maestoso, avvolto in basso dalle nubi, ma ben visibile nella sua parte superiore a forma di cuneo rovesciato. E' una visione da sogno, quasi dantesca: le nuvole e la nebbia cominciano a ricoprire tutto, ci avvolgono con quel profumo di umidità spessa e greve e tutto scolora in una indefinita tonalità di grigio che ci smarrisce.  Non c'è tempo da perdere: si scende a gran ritmo.

Man mano che scendiamo la vegetazione si infittisce e quando cominciano a comparire le prime conifere la meta non è più molto lontana. Nel primo pomeriggio raggiungiamo Villanova (1.223). La stanchezza si fa sentire, ma la nostra destinazione è 5 km. più a valle. Dobbiamo raggiungere Bobbio Pellice. Maurizio non si perde d'animo ed aiutato da Alessandro riesce a spuntare un passaggio in auto per ognuno di noi: fantastico.

Dopo una breve sosta presso un bar, Maurizio insiste per portarci a vedere il monumento a Sabaud. Nessuno ne ha voglia, ma ci dispiace deludere la nostra guida. Passiamo davanti ad una costruzione a forma di tempio e ne restiamo ammirati pensando di aver raggiunto l'obiettivo. In realtà non siamo che di fronte una struttura dell'acquedotto comunale. L'obelisco si trova in cima ad una lunghissima salita che si sviluppa all'interno di un bosco intricato pieno di piante d'ortica. Andiamo su a forza di sbuffi e lamenti. Quando lo raggiungiamo non abbiamo che la forza di buttarci ai piedi del monumento giusto per il tempo di una foto.  E' forse la visita culturale più veloce mai fatta al mondo: in breve siamo già nella piazza di Bobbio.

Mentre ci prepariamo per raggiungere il nostro posto tappa, il Pigna si avvicina ed indicandomi un gracile ed indifeso vecchino che vende del miele, mi spara un'altra delle sue goliardate: "dai, alleggeriamo de il miele quel rintronato!". La frase è di una cattiveria talmente esagerata da risultare altamente comica: non mi trattengo ed infatti mi butto via dal ridere.

Durante l'ultima camminata per raggiungere la scuola rurale che ci ospiterà questa notte incrociamo delle persone che ci guardano incuriosite: un gruppo così numeroso e affardellato non lo si è mai visto da queste parti. Maurizio dice: "dai, parlate in tedesco così s'incazzano!". Al che io dò subito fondo a tutte le mie conoscenze della lingua teutenica: "Keine gegenstaend aus dem fenster werfen!". Alessandro da Rovereto scoppia subito a ridere perchè, conoscendo il tedesco, si è reso conto che la mia frase è quella classica che si legge sui treni e significa "non buttare alcun oggetto dal finestrino". Nel frattempo alle nostre spalle si sente nitidamente: "crucchi del ca..o!".

Il pomeriggio trascorre nella quiete del giardino della scuola: la stanchezza ci induce ancor più a rallentare i ritmi. Per fare la doccia tutti passano più di due ore. Elettra batte ogni record e quando qualcuno dice: "sì, ma andate a chiamarla: non starà mica male?". Alessandro replica prontamente: "no, ma che chiamarla? Elettra ha sempre avuto i suoi tempi! Lasciatela fare, sennò si agita e ci mette de più!". Poco prima di cena vediamo Piero e Renato che armeggiano con una branda nell'intento di spostarla nel caseggiato adiacente alla scuola. Il Pigna commenta la scena: "ma povero Piero, i che ti fanno fare? Do tu la porti sta branda?". "Madonna se la pesa sta materassa - risponde Piero - un c'è verso di sollevarla. L'è Renato che vole dormire da solo!". Quando alla fine stiamo per uscire il Pigna si accorge dell'accaduto: "indò l'è il mi letto? Dai ragazzi, un fate i grulli!". Renato capisce subito di aver fatto una stronzata: "quale letto? Ma che era il tuo? Non c'era su mica niente, sai?". "Oh Renato - risponde Pigna - ma che m'hai fregato il letto? Maremma cane, un ti poi distrarre un secondo che ti portan via tutto!". Fortunatamente in un cantuccio è rimasta una piccola brandina. Certo per le dimensioni del Pigna è piuttosto piccina, ma in fondo domani si torna a casa: è l'ultimo sacrificio. Chiudendo la porta della scuola leggo il regolamento affisso. Tra le altre indicazioni c'è n'è una piuttosto bizzarra: "non utilizzare i materassi". Mi confronto con i compagni e non trovando una ragione a tale divieto ne inventiamo una plausibile e l'aggiungiamo a penna: "....che ce sò li bacherozzi!".

E' l'ultima cena che facciamo insieme: Maurizio è insolitamente silenzioso. Forse sta già pensando al prossimo impegno che l'attende in Val Maira o forse è un po' triste al pensiero di lasciarci. In ogni caso è tutto il gruppo che respira un po' di malinconia. Per fortuna a cavarci dagli impicci ci pensa ancora il Pigna dando sfogo ai suoi ricordi della Firenze fine anni '70 ed al cinema "Universale" in particolare, luogo in cui più che per vedere film ci si ritrovava per fare baldoria. Un esempio per tutti: lo scopo di ogni spettatore era quello di pronunciare la frase di commento più brillante alle scene della pellicola, di modo tale da riscuotere l'applauso a scena aperta da parte di tutta la platea.

Al mattino ci si sveglia sul presto: dobbiamo prendere il pullman delle 8.30. In pochi minuti di strada raggiungiamo l'ultima tappa del nostro viaggio, Torre Pellice. Questi è un paesino di poco più di 4 mila abitanti ed è considerato il principale centro del valdismo in Italia. Qui avvenne il famoso giuramento del 1689 in cui le comunità valdesi si impegnarono a mantenere "l'unione e l'ordine fino all'ultima goccia del nostro sangue". Dopo un breve giro turistico ed una rapida visita alla libreria claudiana, ci incontriamo con un ragazzotto del posto che ci farà da Cicerone sia per il tempio che per il museo valdese. La sua preparazione e la sua capacità espositiva saranno molto apprezzate dal gruppo, tanto che durante tutta la durata della visita si conteranno solo tre sbadigli. Un vero record. Il Pigna, Elettra ed io, in uno dei rari momenti di stanca del giro culturale ci concediamo alcune foto buffe con i personaggi rappresentati nel museo: la più significativa accanto ad un osceno pupazzo marrone, tutto intabarrato (senza n'è occhi, n'è bocca, n'è naso: senza niente insomma) che dovrebbe rappresentare un amanuense. Boh!

Diego e David hanno lasciato il loro zaino sulle scale del museo. Hanno deciso di partire subito. Il Pigna uscendo qualche istante prima corre a nasconderne uno. Quando David si accorge che manca il suo comincia a urlacchiare: "oh ragazzi, un facciamo scherzi! C'ho furia: fuori lo zaino. Veloci, un mi fate ingrullire!". Vedendo l'agitazione del nostro compagno lo scherzo finisce subito con qualche risata.

Lasciati i nostri due compagni, decidiamo di mangiare un boccone velocemente. Prima di dirigerci anche noi verso la stazione però ci sediamo ai tavolini di un bar per un ultimo caffè tutti insieme. Nell'attesa Alessandro e Roberta si recano in un'enoteca poco distante e comprano una bottiglia di Bernard Serpoul per la nostra guida. La consegna del dono è una sorta di ringraziamento collettivo per tutto ciò che Maurizio ha fatto per noi, sia come professionista che come uomo. E' un momento commovente che tira un po' le fila di questo bel viaggio. Come sempre a trarci d'impaccio arriva il Pigna: "caro Maurizio, la si è firmata, non tanto perchè tu ti ricordi di noi, quanto perchè sennò tu te la rivendi!".

E' giunta l'ora di congedarsi da Maurizio ed Alessandro da Rovereto che hanno entrambi l'auto qui. I saluti sono calorosi, ma rapidi: tra breve giungerà il treno che porterà noialtri a Torino. Il Pigna, che si è attardato, tira l'ultima stoccata a Maurizio fingendo un saluto estremamente distaccato: "si, ciao Maurizio. Ci si vede!" e si incammina quasi correndo verso la stazione. Con una risata, torna indietro e lo abbraccia fraternamente, dandogli appuntamento al prossimo trekking. In quell'abbraccio c'è forse tutta l'essenza di questa bella avventura.

Giunti a Torino ci si saluta nella confusione della stazione ed ognuno segue la via del proprio ritorno. Il Pigna ed io ci prendiamo ancora un po' di tempo. Così come per l'andata ci rechiamo ad un bar in corso Roma e ci gustiamo una bella birra ghiacciata. Siamo entrambi soddisfatti di questo viaggio, soprattutto perchè ha mantenuto le nostre aspettative. Le ultime considerazioni del mio amico sono rivolte al futuro, a come cambierà la vita con l'arrivo di Viola, la sua bimba che nascerà a gennaio. Per un momento il Pigna diventa serio, silenzioso. Chissà quali pensieri si affastellano nella sua testa. Un attimo dopo però  i lineamenti del suo volto si sciolgono in un sorriso di felicità. Ed io sono felice con lui.

 

Alla prossima

 

                                                                                              Luigi d'Ausilio

                                                                                         (Yanez Novelli Cioni

                                                                                            da Lamporecchio)

 

 

A tutti coloro che sono arrivati a leggere fino in fondo questo racconto va il mio personalissimo ringraziamento. Spero di non avervi tediato troppo.

I fatti raccontati in questo scritto sono realmente accaduti tra il 09 e il 16 agosto 2008. Non nascondo che qualche episodio è stato leggermente alterato per renderlo più ridicolo di quanto già non fosse. Ma nella sostanza tutto quanto scritto può definirsi più vero che verosimile.

 

 

                     Appprofondimenti                                                                                                                                                         

§                                 http://www.pistonibox.com/elettra/foto_valli_valdesi.html

 

Commenti

Sono presenti 38 commenti

1 Inserito da stella Il 27/08/2008 12.37.16

Da anni il mio 8 per mille è alla chiesa valdese, un po' di pubblicità non guasta in questo caso. ;)))

2 Inserito da alfu Il 27/08/2008 17.31.06

Bello il racconto ... ( non me lo avevate detto che mi chiamavate cignale, nel trekking di due anni fa ero "il cinghio." .. corsi e ricorsi storici) e belle le foto ... brava Eletrica. Fra un paio di settimane qui inizia l'Octoberfest. Ma non posso ospitarvi tutti .. però ho un amico che a Bressanone che ha una casa grande..un maso. Volendo si potrebbe organizzare un long weekend. Bottanico mi manchi ! Ho comprato il libro di Rigoni Stern... ma lo ho già imprestato... Un abbraccio vs cinghiale

3 Inserito da alessandro guardabassi Il 27/08/2008 17.52.44

ma in effetti manco io lo sapevo di questo soprannome...l'ho appreso dal fantastico diario di bordo del dott. yanez...come molte altre cose d'altronde. come il fatto che il lago verde abbia cambiato nome in lago azzurro per esempio :)

4 Inserito da Elettra Il 27/08/2008 18.18.51

Ne parlavo con Alessandro sul treno. Di ritorno da questi viaggi mi scontro sistematicamente con l'incapacità di comunicare a chi non c'era la bellezza di quello che ho vissuto. Mi limito ad un laconico "bei posti, bel gruppo" convinta che il resto sia troppo difficile da spiegare o troppo difficile da capire... e forse lo è veramente. Già è difficile convincere l'ascoltatore medio che d'estate non esistono solo mare e racchettoni, che si può andare a letto presto, svegliarsi all'alba e divertirsi comunque, che camminare non sottrae tempo al tempo ma lo arricchisce, che non è necessario vedere mille posti ma ne basta uno solo visitato con dei ritmi più umani, che un gruppo di sconosciuti ti può arricchire molto più della solita compagnia... Già (dicevo) è difficile spiegare tutto questo, figuriamoci impelagarsi nel groviglio delle emozioni! Io credo che il segreto di questi viaggi sia nella leggerezza del bagaglio che ti porti dietro ... e non mi riferisco ai chili fisici che ti carichi sulle spalle (tutt'altro che leggeri) ma alla leggerezza intesa come semplicità. Di punto in bianco non hai più nulla... non solo cose scontate tipo casa, macchina, lavoro e impegni... ma non hai più gli affetti soliti, governati da dinamiche già note, non hai più bisogno di vestiti puliti o di sapere che ore sono, non hai i tuoi spazi e non ne senti il bisogno (a parte quando diventi un tassello del tetris in un buco di stanza :)), non hai mai fretta, non c'è rumore, folla, stress, parole inutili o chiacchiere forzate, non c'è noia, non ti serve nulla, compreso il solito libro che mi ostino a portarmi dietro ogni volta, non devi prendere decisioni, non ci sono cose che Devi fare, a parte seguire un sentiero... Nell'assenza di tutto ciò che è superfluo esce fuori l'essenziale... che non riesco a descrivere a parole ma che so di riconoscere quando lo incontro. Lo ritrovo in quello che mi lascia... ricordi solo apparentemente insignificanti che riemergono all'improvviso, deviano lo sguardo verso un punto indefinito, strappano un malinconico sorriso e alleggeriscono il cuore come una boccata di aria fresca...

5 Inserito da elettra Il 27/08/2008 18.42.13

a proposito Yanez, il libro che hai pubblicato come si chiama? elettra

6 Inserito da alessandro guardabassi Il 27/08/2008 18.44.57

si chiama Santiago Express e se ti interessa puoi acquistarlo direttamente

7 Inserito da David Lifodi Il 27/08/2008 18.51.58

Ciao a tutti, la mattina del 17 agosto mi ha fatto un certo effetto alzarmi da solo senza le vostri voci allegre, i commenti sui russatori notturni, il rumore delle cerniere degli zaini che si aprivano e chiudevano per la partenza imminente verso un'altra tappa del nostro percorso, così come la sera prima di addormentarmi mi veniva spontaneo chiedermi: "ma qui mancano le letture valdesi di Maurizio!" In generale condivido le impressioni di Elettra: è difficile spiegare agli altri le sensazioni di viaggi del genere. Pensate che diverse persone più o meno bonariamente mi hanno dato davvero del "grullo", dicendomi ma chi te lo fa fare e salutandomi come se andassi a compiere chissà quale impresa, senza riuscire però a recepire che per me queste sono le esperienze più significative e non viaggi anche in posti esotici magari bellissimi ma in tristi villaggi vacanze, come fanno in tanti. Per me i momenti più ricchi di soddisfazione sono stati l'arrivo al Lago Verde e l'arrivo al passo il terzo giorno poco prima che si scatenasse la bufera, soprattutto per averli conquistati passo dopo passo e tornante dopo tornante! Spero di rivedervi presto! Un abbraccio, David PS: le mie foto non sono un granchè, e sono soprattutto ai paesaggi, però se volete ve ne mando qualcuna.

8 Inserito da alfu Il 28/08/2008 0.39.36

il pistonibox è molto bello e poi le foto di nudo ti fanno venire voglia di ... almeno imparare a fotografare; secondo me anche il pigna dovrebbe avere il suo sito... chessò : "la gerla di pigne." (gerla a siena vuol dire sacco per la semina) un pensiero al giorno, una battuta un aneddoto.. per funzionerebbe un sacco.. secondo me funzionerebbe anche una sua biografia... yanez pensaci ! ... " Quaderno di Pigna"

9 Inserito da alessandro guardabassi Il 29/08/2008 14.23.36

io comunque mi aspetto un commento sul viaggio anche dalla nostra guida. il barbagallo non può cavarsela così. se n'è andato con l'altro gruppo come se nulla fosse, ve lo ricordate? ha preso baracca e burattini ed ha accompagnato un gruppo di perfetti sconosciuti il giorno dopo averci lasciati! vi rendete conto? nemmeno ha aspettato il tempo canonico di due settimane. indecente. noi gli volevamo bene...gli avevamo anche regalato il liquore e scommetto che gli altri non gli avranno regalato nulla! ale

10 Inserito da maurizio barbagallo Il 30/08/2008 22.15.18

Eccomi! Alessandro non essere geloso, come posso dimenticarmi di Voi. Abbiamo camminato insieme una settimana per valli e passi che sono molto importanti per me perchè sono i luoghi dove ho iniziato ad andare in montagna molti anni fa. Vi RINGRAZIO perchè vi siete tutti adattati agli imprevisti e alle sistemazioni spartane che sono inevitabili la prima volta che si fa un viaggio nuovo. Davvero un bel gruppo (da 4 orme come direbbe qualcuno). Mi restano i ricordi delle battute dei soliti buontemponi e il racconto di Yanez (e sono contento che la rivista Itinerari e Luoghi di questo mese ne recensisce il libro) ma anche gli insegnamenti di Luca il botanico, un vero appassionato e poi i piccoli regali che mi avete fatto ogni giorno tutti Voi con il Vostro interesse e la curiosità sulla storia e la cultura delle Valli, i sorrisi anche nei tratti più faticosi, la frutta secca, un sacchetto di stoffa, la bottiglia di liquore.. la FIDUCIA Grazie anche a Riccardo Carnovalini che ha percorso il Glorioso Rimpatrio e ha scritto la preziosa guida. Un grazie particolare a Luca, Claudio e Maria Grazia di Bibiana e Pinerolo (soci Boscaglia che avevano fatto l'Alta Via 1 con me a Luglio) che ci hanno accompagnato nel pomeriggio più "umido". CIAO

11 Inserito da caterina zanin Il 01/09/2008 22.55.18

venerdì e sabato sono andata a fare il giro del sasso piatto e del sasso lungo con delle amiche. andare in montagna fa sempre tirare il fiato! il giro era da 1 orma scarsa, anche perché abbiamo portato le bambine. mi sono piaciuti i posti, il panorama, il rifugio sasso piatto: un rifugio privato (per la gioia di Maurizio!) confortevole e con ottima cucina. Come sempre mozzafiato i tramonti sulle dolomiti, ma nel glorioso rimpatrio dove erano i tramonti? io non me ne ricordo uno! La cosa forse che mi ha dato più fastidio è la folla che si trova su quei sentieri (ormai strade) che offusca un po' le sensazioni di cui parlava Elettra. Così ho apprezzato ancora di più il glorioso rimpatrio! caterina

12 Inserito da Luca Il 02/09/2008 14.15.43

“Certo, se l’epica marcia dei valdesi si fosse svolta in America, sarebbe stata un ottimo soggetto per un film hollywoodiano, con il georgeclooney-bradpitt di turno nei panni dell’eroe. Invece siamo in Italia, questo pezzo di storia è quasi sconosciuto ai più, e su un sentiero storico come questo capita di incontrare svariati stranieri, ma pochissimi (eufemismo...) italiani, a parte un manipolo di grulli targati Boscaglia. Forse è meglio così, piuttosto che vedere il sentiero intasato da file di marciatori con in tasca l’ultimo bestseller, ma vengono molti dubbi sulle capacità italiche di valorizzare i nostri sentieri.” Pensieri in libertà di domenica 17, durante il forzato reinserimento nel mondo civile post - trekking. Disfa lo zaino, metti in lavatrice gli olezzanti panni sporchi (aarghh..), scarica le foto, fai il riassunto finale delle specie viste (per la cronaca quasi 400). Cerchi di riconnetterti con il mondo, vai in edicola per il giornale. La mia edicolante ha già lanciato la card a scalare per il quotidiano (VERO!!). Allora è contagioso !! Non resta che tornare sulle montagne... Scherzi a parte, ho scaricato le foto (niente a che vedere con il megaservizio di Elettra, degno del National Geographic), e in futuro magari vi manderò qualcosa, tenendo presente dei miei tempi biblici. Per Elettra: belle foto e un notevole “occhio” nel costruire l’immagine e giocare con la luce (si vede che sei del mestiere). Unica nota a margine: per leggere i commenti (in font piccolo e in nero su fondo scuro) ho dovuto incollarmi letteralmente allo schermo e non era un bello spettacolo...

13 Inserito da Luca Il 02/09/2008 14.16.29

Per Elettra, David, e tutti gli altri... Già, perché lo facciamo ? Cosa ci spinge ogni estate a caricarci la schiena di sotto diversi chili di zaino e scarpinare su e giù per le montagne, sudando sotto il sole e lavandoci sotto la pioggia? Siamo proprio così grulli ? Non era meglio andare a Rimini ? Si potrebbe aprire un dibattito lungo molte pagine, ma forse, per quello che mi riguarda, la risposta è composta di tanti pezzi, come un puzzle: la fuga veloce del camoscio sul costone, l’ancheggiare della salamandra sull’erba bagnata di pioggia, le macchie di colore delle fioriture sulla nuda roccia, la corsa delle nuvole nel cielo sopra la tua testa. Ma anche le battute e le cazzate scambiate sul prato durante una sosta, il birrino bevuto in compagnia dopo la marcia, le cronache di Yanez e la lettura serale di Maurizio su coloro che hanno percorso la strada prima di noi. Vedere perfetti sconosciuti trasformarsi, giorno dopo giorno, in compagni di viaggio, di avventure (e di sventure), condividendo spazi angusti, punti di vista e spicchi di realtà. E alla fine di tutto, il desiderio di vedere cosa c’è dopo il prossimo tornante, oppure oltre quella cima. Incastri tutti i pezzi, mescoli bene e il puzzle del glorioso rimpatrio (da esporre nel museo valdese o nella stanza dei propri ricordi) è pronto. Ognuno ha portato il suo pezzetto, e per questo vi dico grazie di cuore, con la speranza di rivederci su qualche sentiero. Un abbraccio – Luca.

14 Inserito da Elettra Pistoni Il 02/09/2008 14.42.57

Caro Luca, riguardo al piccolo font nero su sfondo marrone hai perfettamente ragione... E' un'esigenza puramente estetica e per nulla funzionale... chiedo perdono! E' anche vero che per quello che ci scrivo non vale la pena rovinarsi tanto la vista... conviene scorrere le foto e non far caso ai commenti! Condivido tutti i pezzi del tuo puzzle, fatta eccezione per "vedere cosa c’è dopo il prossimo tornante, oppure oltre quella cima"... Nel mio caso, vista la scarsa forma fisica, il mio interesse era proiettato più sul "prossimo panino" o la "prossima pausa" :)

16 Inserito da roberta francescon Il 02/09/2008 16.35.46

Eccomi anch'io!! E' che sono arrivata un po' lunga con le ferie... sono rientrata al lavoro soltanto ieri e siccome la mia fonte di connessione in rete è solo l'ufficio..... Le lunghe ferie hanno permesso alle mie ginocchia di ristabilirsi completamente (o quasi..), anzi colgo l'occasione per ringraziare ancora sia quelli a cui ho letteralmente "mollato il pacco" sia chi mi ha soccorso con medicazioni e medicinali vari che mi hanno permesso di completare agevolmente il trekking. Beh è stata proprio una settimana rigenerante, se non per il corpo (il mio) sicuramente per la mente come Elettra ha ben spiegato nel post (.. e complimenti per le foto! davvero belle!!). Grazie a tutti per la spensierata compagnia! Abbaci! robi

17 Inserito da caterina zanin Il 02/09/2008 18.22.37

nella passeggiata che ho fatto al sasso piatto ho incontrato pini cembri (così li chiamava il libro), una domanda per Luca: noi cosa inconravamo pini montani? alpestri? so che me lo hai già detto ma non me lo ricordo più. Ovviamente complimenti a Elettra per le foto: Maurizio ha trovato anche una nuona foto del catalogo!

18 Inserito da David Lifodi Il 02/09/2008 22.05.24

Ciao, concordo con Luca, credo che sia un insieme di cose a spingerci a fare queste scarpinate (anzi, "sgropponate", tanto per rimanere in tema ed usare un termine vernacolare delle mie parti), quella che però per me prevale è la soddisfazione di raggiungere un determinato passo, un certo rifugio, poter godere di un bel panorama e sentirsi al tempo stesso in pace con il mondo. Pensavo proprio a queste sensazione alcuni giorni fa mentre partecipavo ad una gara podistica di 12 km qui a Siena, con saliscendi continui e salite mostruose, eppure nonostante tutta la stanchezza accumulata, arrivato al traguardo ero raggiante per il solo fatto di avercela fatta, goccia di sudore dopo goccia di sudore. A presto, david

19 Inserito da Elettra Pistoni Il 03/09/2008 10.09.35

Grazie a tutti/e per i complimenti! La sparo.. Erano forse pini silvestri?

20 Inserito da Luigi d'Ausilio Il 03/09/2008 11.55.35

Amici carissimi, Accidenti quanti commenti. E' davvero bello leggere le vostre impressioni sul nostro "viaggetto". Ma lo sapete che dopo l'impresa me ne sono andato a Riccione a "disintossicarmi" e a rientrare nella mia dimensione. Sorpresa: non era più la mia! Troppo caos....troppe "distrazioni".....troppi ricordi freschi di voi tutti...! Spero di rivedervi al più presto. P.S. E' stoto davvero bello conoscervi. P.P.S. Un grazie al cubo a coloro che hanno deciso di dare fiducia alla mia pubblicazione. Yanez

21 Inserito da maurizio barbagallo Il 03/09/2008 12.15.07

Caterina! grazie anche a te per gli opercoli di arnica per rimpinguare il pronto soccorso. Forunatamente non li ho ancora usati. Abbiamo incontrato pini cembri (quelli con 5 aghi per fascetto) salendo il secondo giorno all'Assietta nel bosco misto di larici e pini silvestri. Forse qualcuno se ne ricorda. Eravamo nell'area protetta del Gran Bosco di Salbertrand famosa soprattutto per la presenza dei 700 ettari di abete bianco e abete rosso che abbiamo visto soprattutto il primo giorno. http://www.parks.it/parco.gran.bosco.salbertrand/par.html

22 Inserito da Luca Il 03/09/2008 19.23.26

Il boTTanico risponde: Confermo quanto anticipato da Elettra e Maurizio. Durante il trek abbiamo visto diversi tipi di pino: 1 – Pino silvestre: è il più comune alle quote relativamente più basse, abbondante specialmente durante la salita del primo giorno attraverso il Gran Bosco di Salbertrand. Si riconosce facilmente per la parte superiore del tronco e i rami di colore rosso – arancione, molto evidenti. Probabilmente quelli più abbondanti visti da noi 2 – Pino cembro: più raro e localizzato, cresce in genere a quote più alte del precedente. Si riconosce perché è l’unico pino italiano con gli aghi riuniti a gruppi di cinque (tutte le altre specie indigene hanno aghi riuniti a gruppi di due). Questo particolare lo fece vedere anche Maurizio approfittando di una pausa durante una delle tante salite nel bosco (mi sembra il secondo giorno verso l'Assietta). 3 – ci sarebbe anche il Pino mugo, ben riconoscibile per il portamento basso e strisciante e la forma arbustiva. E’ assai comune nelle Alpi orientali (alle Dolomiti lo avrai certamente notato) ma raro nelle Alpi occidentali, a meno che non si tratti di rimboschimenti non spontanei messi lì dalla forestale. Nelle Alpi orientali è comune anche sotto forma di grappa, degno cicchetto serale al rifugio dopo una giornata di trekking. Prosit!

23 Inserito da rosamaria Il 06/09/2008 14.35.30

Ciao a tutti i viaggiatori "lenti"!!Con queste poche righe celebro la penna di Yanez, che mi era già nota dai tempi di Bomarzo (ricordi? Boscaglia 25 aprile di un paio di anni fa) ed alla sua abilità di trasmettere emozioni e cristallizzare ricordi,volti e paesaggi... bravo e continua così!!

24 Inserito da diego rossi Il 07/09/2008 1.22.17

ciao a tutti mi fa piacere leggeretutti questi commenti, perchè è un pò come continuare il viaggio. Faccio i complimenti a yanez, per il racconto, molto simpatico e che ha saputo cogliere e sottolineare i momemti divertenti eimportanti del viaggio e anche caraterizzare in modo spiritoso e intelligente tutti i partecipanti. Mi sono piaciute molto anche le foto di Elettra, che ringrazio. Insomma indefinitiva ho scritto per sottolineare anch'io che questo viaggio mi è piaciuto molto, per i posti, le persone e anche grazie alla regia sempre attenta ma mai invadente di maurizio. Vi saluto e spero ci sia una occasione di reincontrarci.

25 Inserito da Elettra Pistoni Il 08/09/2008 10.01.58

Devo dire che di questo viaggio ho apprezzato anche l'aspetto culturale, emerso in modo naturale e genuino, lontano da noiosi percorsi "accademici". La storia valdese è uscita fuori sfruttando altri canali... penso alle simpatiche letture serali di Maurizio, le curiose domande di Renato, le puntuali risposte della signora "Tremonti", gli improvvisi incontri nella nebbia, le coinvolgenti parole della giovane guida di Torre Pellice. Nonostante sia atea, e spesso intollerante nei confronti della religione, devo ammettere che quella valdese mi ha piacevolmente colpito, forse perché sembra essere moderna, onesta, contenuta e senza manie di proselitismo.

26 Inserito da Renato Ferrari Il 10/09/2008 11.00.56

Ormai ebbro di "vita moderna" sento il bisogno di esprimere anch'io qualche considerazione sul nostro meraviglio trek nelle valli Valdesi. Da quel poco che ho potuto sapere sulla religione Valdese posso anch'io dire che mi ha incuriosito e mi è piaciuta. Soprattutto la considerazione che ha dello stato come entità laica (cosa che mi ha sempre corroso dentro per il fatto che non è così) e del rispetto che ha per la vita privata delle persone. Ho inteso in quella breve spiegazione della guida nella sala del sinodo che il rapporto con Dio è molto intimo e personale. Qualsiasi manifestazione umana è rispettata per quella che è e che solo Dio può perdonare o condannare. Non certo l'uomo. Presumo comunque che una punizione come aiuto per riprendere la rettitudine sia considerata. (Non credo che accolgano aberrazioni umane come l'omicidio, il furto e altre cose gravi come manifestazioni umane ) Questo è quel poco che ho dedotto ma credo sia sufficiente per provare simpatia per questo modo di vedere la spiritualità. Oltre a questo arricchimento è stato interessante questo su è giù fra l'isolamento della montagna e la ripresa di contatto con la modernità. Cosa che succedeva quasi quotidianamente e che metteva alla prova riguardo l'attaccamento alle nostre abitudini quotidiane. Non avevo mai fatto trekking in questo modo e devo dire che l'esperienza ha dato un colpo di novità al mio solito stile di viaggiare. Vorrei ripeterla, magari ancora con qualcuno dei miei compagni che si sono dimostrati tutti molto all'altezza della situazione. Ringrazio loro ed anche il destino che me li ha fatti incontrare e che porterò sempre con me nei miei ricordi. Avrei ancora molto da dire ma per il momento mi fermo qui, è probabile che ci sia un seguito. Semplicemente, Renato.

27 Inserito da david lifodi Il 11/09/2008 20.02.48

Ciao, a proprosito delle considerazioni espresse da Renato anche io volevo dire che alla buona riuscita del trekking ha contribuito molto anche quest'alternanza tra le camminate e la parte storica del viaggio. Già conoscevo un po' la storia recente dei valdesi e in particolare il prezioso lavoro di intercultura svolto dalla Tavola Valdese, mentre gli incontri che abbiamo avuto mi hanno permesso di conoscere tutta la storia più antica di questa religione. Credo che i trekking di carattere storico offrano quel qualcosa in più che magari gli altri trekking, per quanto in luoghi altrettanto suggestivi dal punto di vista paesaggistico e naturale, non hanno. A presto, David

28 Inserito da David Lifodi Il 18/09/2008 21.08.05

Ciao a tutti, volevo dirvi che sull'inserto del Manifesto di sabato scorso, > "Alias", sono state dedicate due pagine alle valli valdesi, in particolare > alla storia di un ristoratore valdese, Walter Eynard, e al suo ristorante > Flipot, che si trova a Torre Pellice. Aldilà della storia politica di questo > tipo e del taglio dell'articolo dato dal Manifesto (che magari non tutti > condividerete), mi è sembrato interessante il racconto della storia valdese > (ci sono anche foto del museo valdese) e di alcune sue particolarità, ad > esempio l'impegno del sinodo della chiesa valdese in campo sociale, di cui > ci aveva già parlato il ragazzo che ci aveva fatto da guida durante la > nostra ultima giornata a Torre pellice parlandoci dei progetti della tavola > valdese con Libera ed Emergency. > Ciao a tutti, David

29 Inserito da Renato Ferrari Il 22/09/2008 9.57.26

Ciao a tutti. Sembra che a parecchi di noi interessi molto le notizie che si hanno riguardo la religione Valdese. Io compreso faccio ogni tanto qualche ricerca su internet ed oggi cercando "Religione Valdese" ho trovato, oltre alla storia ed i vari simbolismi della liturgia con relative differenze con quella cattolica, anche la dottrina. (Che è la cosa che m'interessa di più) Riporto semplicemente ciò che ho trovato scritto:
"La povertà, il ritorno alla semplicità della prima comunità cristiana, il rapporto diretto e immediato con Dio senza bisogno di mediazioni, la centralità della parola di Dio, unico e solo riferimento per il credente, sono stati da sempre i cardini della dottrina del Valdismo"
Sulla base di questa dottrina si sviluppa praticamente la vita del valdese. Chi si discosta da questo non si può certo classificare Valdese. Del resto anche chi si discosta dalla dottrina di qualsiasi credo non può classificarsi come parte di questa dottrina. Considerazione del giorno: La chiesa cattolica da molti secoli si discosta dall'insegnamento di Cristo e di conseguenza non è da classificare come portavoce di Cristo. Il problema che opera nel suo nome indebitamente. Ugual problema è che la gente non se ne accorge per ignoranza e per plagio subito. Un solo riferimento vorrei dare: Cristo ha insegnato l'amore incondizionato e se qualcuno di noi ascoltasse attentamente il discorsi quasi quotidiani del rappresentante della chiesa, di amore incondizionato si parla poco o niente. Si parla solo di amore di parte. Secondo la cultura Buddhista Cristo è considerato il Bodhisattva dell'amore ed è tenuto in alta considerazione. A presto, Renato

30 Inserito da Luigi d'Auslio Il 24/09/2008 12.05.51

.....amici......prendete La Repubblica di oggi: paginonetutto dedicato alla Val Pellice e all'enclave valdese...! Yanez

31 Inserito da maurizio barbagallo Il 24/09/2008 15.31.50

Accidenti! dopo il Manifesto anche Repubblica; così rischiamo che anche il trekking del Glorioso Rimpatrio diventi di Moda come Santiago e la Francigena e noi ricordati come i precursori. Non sarebbe male per certe realtà come il posto tappa di Balsiglia o anche La Miando (che così potrebbe rinnovare il dormitorio) avere un po' più di gente. A presto

32 Inserito da Luigi d'Ausilio Il 24/09/2008 15.56.13

.....eh no caro Maurizio, il bello di questo trek è stato proprio l'aspetto spartano delle sistemazioni: se tornasi indietro non rinuncerei mai e poi mai alla notte trascorsa nel museo....sotto il ritratto dei due barboni....! A presto.

33 Inserito da renato ferrari Il 24/09/2008 22.51.40

Nell'eventualità che il trek prenda piede e nell'eventualità che noi saremmo ricordati come precursori, è probabile che vicino ai 2 barboni del museo venga messa anche una nostra foto di gruppo. Non buttate le foto, non si sa mai. A presto, Renato.

34 Inserito da Henri Arnaud Il 25/09/2008 12.34.55

Il vostro ritratto insieme al mio e a quello del valoroso Gianavello? Ma siete impazziti? Enrico Arnaud Pastore e Colonnello

35 Inserito da renato ferrari Il 26/09/2008 8.15.30

Carissimo Arnaud, perchè non vorresti il nostro ritratto vicino al tuo? Non lo faremmo per eclissarti ma per dare ancora più gloria alla tua immagine. Senza di tè non avremmo avuto la possibilità di compiere la nostra impresa ed i posteri ne sarebbero di certo impressionati. La tua memoria perpetuerebbe nei secoli dei secoli. E una questione di marketing ed il tuo orgoglio ne uscirebbe ancora più rafforzato. A presto, renato.

36 Inserito da Luigi d'Ausilio Il 26/09/2008 15.53.28

.....ma enfatti.....sò d'accordo: vuoi mettere un bel ritratto del Pigna.....o di Diego......con le loro belle barbette post-moderne. Non sfigurerebbero e darebbero un tocco di modernità all'ambiente....senza modificarne l'atmosfera: "novità nel solco della tradizione".

37 Inserito da renato ferrari Il 26/09/2008 22.14.18

Novità nel solco della tradizione. Appunto, arriveresti prima del Papa che stà facendo invece il percorso a ritroso. Poi, sai la convenienza; Sai quanti 8 per mille avresti a scapito dei cattolici? sarebbe per tè una nuova battaglia per dimostrare ancora, dopo tanti decenni, la tua superiorità. Pensaci.

38 Inserito da Henri Arnaud Il 30/09/2008 21.38.24

Forse avete ragione voi. Comunque per sincerarmi del vostro valore e per conoscervi meglio andrò a Roma martedì 14 ottobre (ovviamente in incognito) per la presentazione del libro del vostro scrittore, quel tale Yanez anche se non ricordo bene dove verrà fatta questa presentazione.. a presto.

 

Incontro a Bomarzo

06/06/2008 9.19.41

Innanzi tutto un saluto ai partecipanti : Ilaria, Cristina, Raffaela, Elisabetta, Daniela,Adele, Marisa, Pasquale e Brunella, Samuele e Laura. Quattro giorni sono pochi e comunque in 4 giorni di cose ne sono successe parecchie! Spero di rivedervi presto.  Volevo raccontare di un incontro che abbiamo avuto durante il viaggio. Il primo contatto nella splendida faggeta sulla sommità del Monte Cimino: una signora molto distinta non più giovane ma di età indefinibile, dall’accento tedesco mi chiede informazioni sui sentieri. Due giorni dopo nel “Parco dei Mostri” la incontriamo nuovamente, sembra incuriosita dal nostro tentativo di interpretazione Alchemica. Nel pomeriggio mentre ci stiamo dirigendo verso San Nicolao rieccola, torna indietro non essendo riuscita a individuare il sentiero. La invito ad unirsi a noi e in breve raggiungiamo il primo dei così detti Sassi del Predicatore, è entusiasta delle “scoperte”, non capisce come mai gli enti locali se ne interessino così poco, io a differenza di lei penso che sia quasi un bene. Rispetto ad un anno fa ho dato una qualche ritoccata alle strutture dove siamo ospiti e all’itinerario, ho cercato di entrare più in sintonia con i luoghi come mi ha consigliato Pietrusco (vedi blog Bomarzo 2007) . Abbiamo azzeccato una trattoria a Bomarzo e anche le persone mi sono sembrate più gentili e disponibili.  Qualche cambiamento si nota anche da parte degli interventi degli enti pubblici, addirittura un’aula verde nella faggeta del Cimino! (un po’ troppi cartelli ) Ma torniamo alla misteriosa signora. A ciascuno di noi racconta qualcosa di se: a qualcuno dice di essere di Strasburgo, qualcun altro viene a sapere che vive a Roma, dice di essere una storica dell’arte. Sulla strada del ritorno si distrae e non ricorda dove ha lasciato l’auto, dopo 2 km se ne rende conto, intanto inizia a piovere, il gruppo arriva al B&B e io la riaccompagno alla macchina. Scopro che è una Fiat Panda Young 900 uguale alla mia, lei ne è entusiasta : ha girato la Turchia , il Marocco, la Siria , il Sahara con il Pandino : è eccezionale , se ci sono problemi meccanici in qualunque parte del mondo la possono aggiustare, i ricambi costano poco.. mi racconta che la pompa della benzina si può bloccare quando fuori ci sono 50 gradi ma poi riprende a funzionare… Siamo perfettamente d’accordo le racconto, dei 300.000 Km fatti con la mia.  Ma le sorprese non finiscono qui: quando le chiedo dove è alloggiata mi dice che se non trova dove dormire nel bagagliaio ha tenda e fornellino .. sul sedile accanto al guidatore una scatola con libri, pigne, foglie, fiori.. Una perfetta viaggiatrice di fine 1800. E’ attirata da nostro modo di viaggiare a piedi e così le faccio vedere il catalogo 2008 di Boscaglia. Lo studia con attenzione vuole qualcosa di impegnativo e veramente selvaggio… dopo un attento esame ha scelto un bel 4 orme con Luca Gianotti: Corsica Nord in Libertà . Ci diamo appuntamento per la mattina di domenica per venire con noi a vedere le misteriose rovine di Santa Cecilia. Domenica non si fa vedere. Non sappiamo nemmeno il suo nome. Chissà se la rivedremo in Corsica, comunque la stoffa della viaggiatrice Boscaglia sembra ci sia tutta.

Maurizio Barbagallo

 

Commenti

Sono presenti 3 commenti

1 Inserito da Raffaela Scocco Il 06/06/2008 14.52.20

Finalmente ci siamo anche noi! Da quella sera che vagando in rete ho conosciuto La Boscaglia e pensavo...mmm...farà per me?...ora sono qui a condividere l'esperienza con voi!bei giorni e bel cammino... Tutta la mia stima va alla viandante solitaria, che mette in pratica quello che credo sia nascosto nel cuore di tutti noi...partire per un pò, da soli, portare solo l'essenziale...perchè quello che conta è il cammino, il paesaggio, i profumi e le persone che incontriamo sul cammino...vivere senza le ore e i giorni ma solo con il tempo dell'anima... Un saluto a tutti! ...Maurizio, una sola elle...Raffaela! Ma sei troppo simpatico per arrabbiarmi!;-)

2 Inserito da Adele Il 07/06/2008 8.08.38

E' stata la mia prima esperienza di trekking diverso da quello "casereccio" che pratico dalle mie parti (colline romagnole..a Forl' e dintorni..). Sono stata veramente bene, mi sono divertita molto per i seguenti motivi: - il gruppo (formato in maggioranza da donne) si è amalgamato subito e con un livello di collaborazione, simpatia, tolleranza reciproca veramente notevole: - la guida (Maurizio) è stato molto bravo a condurci, non solo nelle "strade" che abbiamo percorso, ma anche nella capacità di aiutarci ulteriormente a stare insieme, vivere l'esperienza nello spirito del camminare specifico di Boscaglia, apprezzare ogni momento della giornata; - i luoghi si sono rivelati stupendi (sembrava di essere costantemente protagonisti di quadri alla Renoir (prati fioriti, boschi verdi, grotte, boschi...paesi molto pittoreschi e quasi senza pioggia...A Forlì negli stessi giorni ha imperversato pioggia a go go!!) Il tempo è volato ogni giorno; - la signora straniera che abbiamo incontrato con me ha scambiato solo alcune parole (mi ha chiesto se veramente i "bastoincini" che avevamo aiutavano nelle camminate....ho risposto certamente di sì..) La signora mi ha fatto un pò d'invidia.Pur non essendo più giovane gironzolava per boschi isolati sola, senza alcun timore e godendo di ogni piccola cosa (che incontrava, che raccoglieva...la nostra compagnia alla quale si è subito aggregata...)Ho pensato che questo tipo di autonomia in poche donne italiane si riscontra...E' un obiettivi da porsi. - gli agriturismo sono stati di mio gradimento cone pure i cibi che abbiamo mangiato. L'episodio della "zecca" che fin dal primo giorno ha pensato bene di "baciare" la nostra dottoressa Neurologa si è risolto brillantemente...io ci ho visto anche dei lati divertenti (forse perchè non ha punto me!). Nel prossimo trekking che sceglierà spero di rivedere qualcuno del nostro gruppo. Ciao Adele.

3 Inserito da pietro labate Il 12/06/2008 17.54.16

Qui Pietrusco, bene,bene, vedo che la Tuscia ha colpito ancora. Vedo che anche Maurizio si sta avvicinando con lo spirito giusto ai luoghi giusti. Chissà magari ci incontreremo lungo qualche sentiero. Un caro saluto ai viandanti ed alle viandantesse.

Nizza-San Remo 2008: i fiori e i profumi

07/05/2008 17.24.51

30 marzo - 5 aprile 2008 Capita che alcuni soci Boscaglia siano anche bravi fotografi. Nel Nizza Sanremo che si è svolto quasi un mese fà c’erano Maurizio Rossi da Prato e Paul Veugelen dal Belgio. Le foto di Maurizio si possono vedere cliccando qui Le foto di Paul cliccando qui e sul suo sito dove ci sono anche tantissime foto dei suoi numerosi trekking.

Maurizio Barbagallo

Approfondimenti

§                                 http://picasaweb.google.it/mrz.rossi/2008AprileBoscagliaDaNizzaASanRemo

§                                 http://www.veugelen.com/nice-sanremo2008/prive/index.html

§                                 http://www.veugelen.com

  Commenti

1 Inserito da Elisa Renzi Il 16/05/2008 23.34.05

Sono orgogliosa di poter dire: io c'ero. E' stato uno di quei viaggi in cui si crea quella combinazione leggera e felice di partecipanti interessanti e simpatici, guida in gamba, bell'itinerario, vario, fatto tutto a piedi, cielo azzurro, fiori, aria frizzante, sole, colori,gioia, sana stanchezza, vita. Ringrazio la guida e gli altri camminatori, che hanno reso questa settimana così piacevole. Anche il tempo, che ci ha voluto tanto bene. Quei bei sonnellini sotto gli ulivi, sui prati pieni di fiori, dopo aver condiviso con gli altri il pasto sulla tovaglia azzurra, col sole che scalda la pelle ed il vento che l'accarezza me li ricordo con tenerezza ogni frenetico giorno della vita "normale": è la boccata d'aria fresca che mi aiuta ad affrontare le mille incombenze quotidiane!


Valle Maira 2011

Valli ancora abbastanza integre, piccoli borghi ormai (e ancora) abbandonati, ricchezza di cultura e storia e affascinanti strani mestieri. Maurizio è davvero addentro alle cose e conoscitore delle persone di quei luoghi. Sa come si tiene un gruppo. Sa gestire i partecipanti che possono dargli una mano. È un trek che richiede allenamento nei partecipanti, altrimenti le tre/quattro tappe con forti dislivelli, anche se senza nessuna difficoltà tecnica, finiscono per frazionare il gruppo lasciando indietro i più/troppo lenti e/o insoddisfatti i più allenati/veloci. Per fortuna in questo gruppo l’ottima qualità “fisica” e relazionale dei partecipanti e la “mano” della guida ha trasformato un possibile handicap in un vantaggio. Sono molto contento di aver incontrato le persone che c’erano.

Antonio

ALPI FRANCO-PROVENZALI 2012. Il Rocciamelone, un'emozione unica

E' stato un bel viaggio, culminato con la salita al Rocciamelone, la ciliegina sulla torta. Un'emozione unica, man mano che salivo quella montagna, i pensieri se ne andavano, lasciandomi un senso di leggerezza e felicità incredibili; grazie alla Madonna del Rocciamelone.
Roberto

 

Ho trovato il trekking molto duro e faticoso. Salire in quota e ridiscendervi ogni giorno, con dislivelli molto importanti e con un ritmo serrato (obbligato peraltro dal rischio di temporali nel pomeriggio), ha messo a dura prova le mie resistenze. Colpa mia che mi sono informato poco. Gli altri partecipanti erano ben consapevoli del grado di difficoltà cui andavano incontro. L’ascesa al Rocciamelone è stata entusiasmante e resterà scolpita nei miei ricordi come una delle esperienze più belle della mia vita.
Conosco la guida, Maurizio Barbagallo, da molti anni ed ho partecipato ad alcuni viaggi da lui condotti quando ancora lavorava per l’associazione Boscaglia. Ne ho apprezzato fin da subito le grandi doti umane e professionali e nel momento in cui ho visto che c’era un viaggio nuovo da lui proposto mi sono iscritto senza troppe domande. E’ bello viaggiare e farsi condurre da persone così.
Luigi

Un viaggiatore solitario Capodanno in Basilicata 2012-13
 
Ho concluso il mio trek nelle dolomiti lucane di cui sono rimasto completamente soddisfatto. Un encomio particolare a Maurizio che si e' rivelato una guida validissima a 360 gradi, compresa la disponibilita' a risolvere tutte le esigenze dei partecipanti oltre ad avere una piacevole dote di simpatia. Penso che partecipero' ad altre vostre iniziative stemperando un po' le mie abitudini di viaggiatore solitario.
Auguri,
Paolo
 

Luglio 2017 - Alta Via delle Dolomiti n. 1 - Bellissimo trekking che consiglio a tutti perchè è ben organizzato e soprattutto condotto con grande professionalità da Maurizio Barbagallo che con la sua simpatia, competenza, amore per la natura ed esperienza riesce a darti qualcosa di più di un "semplice" cammino a tappe in montagna. Muoversi a piedi in un ambiente straordinario, sempre in sicurezza, con una giusta dose di fatica insieme ad altre persone alternando racconti, spiegazioni, battute a silenzi e riflessioni arricchisce dentro! Rifugi e colazioni/cene di ottimo livello !!! Paesaggi che non si possono non vedere nella vita. I compagni di viaggio sono stati straordinari, bella gente che spero di rivedere il prossimo anno all'Alta via n. 3. Grazie a tutti !!!  Michele

Alta via 1 2017 esperienza bellissima. Ľanno prossimo si fa la 3?!? Claudia

Alta Via n. 2 con Maurizio Barbagallo meravigliosa: organizzazione perfetta per scelta dei sentieri, delle strutture, gestione del gruppo. Grazie! Amalia e Giovanni

Ottima guida Maurizio Barbagallo, attento a tutte le esigenze dei suoi ospiti camminatori. Laura

Ho partecipato al Trekking della Tinozza 2017. Ci siamo trovati benissimo! Maurizio é sempre disponibile, coinvolgente, capace e molto simpatico! Le escursioni sono state molto belle e su misura dei partecipanti. Nota speciale per il rifugio scelto: a conduzione familiare e luogo molto accogliente. Elena

Mai una delusione... conosco Maurizio da anni e posso solo dire che non è solo una garanzia, ma molto di più. Mi farebbe piacere fare con loro un trekking almese...ma per ora non è possibiloe. Dopo Valle Maira e San francesco, quest'annoi avrei voluto ...la Corsica...ma rimandiamo al prossimo anno... Luciano

Grazie Luciano per avermelo fatto conoscere. Camminare con una guida come Maurizio Barbagallo, è un grande privilegio. Grande professionalità, disponibilità, serietà, elasticità ed ironia fanno di lui una persona speciale. Alba

Grazie per averci accompagnato con attenzione e con passo fermo, esperto e al giusto ritmo in questo trekking che attraversa paesaggi da fiaba e fa sognare. Giorgia

  
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